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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 6 giugno 2013, 17:55 
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subaru impreza "petter solberg"


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La seconda versione della compatta Subaru vide la luce nel 2001 e ne rappresentò la prima profonda revisione. L'impostazione meccanica di fondo non venne intaccata, ma intorno a quella tutto venne modificato, migliorato ed accresciuto. Le dimensioni erano più importanti: lunghezza ed altezza crebbero entrambe di 6 cm ciascuna, mentre passo e larghezza rimasero praticamente invariate. L'assetto era nuovo e traeva vantaggio dall'esperienza maturata nei rally. I freni erano a disco autoventilanti su tutte e quattro le ruote, mentre il motore è sempre boxer.
Tuttavia, in un primo momento, gli appassionati più incalliti, quelli che considerano e considereranno sempre l'Impreza come la versione stradale della macchina che si è imposta per anni nel WRC, rimasero abbastanza delusi dalla nuova vettura: le dimensioni maggiori, il peso superiore e quel design così poco aggressivo fecero storcere il naso a non pochi duri e puri.
D'altro canto la nuova Impreza portava in dote una più vasta serie di optional dedicati alla sicurezza automobilistica, un telaio più rigido e nuovi interni più moderni e confortevoli, ma sempre sportivi: da annoverare le bocchette di ventilazione rotonde, il volante MOMO in pelle, la pedaliera in alluminio, il volante regolabile in altezza (ma non in profondità).
Sul lato del design servì a ben poco l'introduzione della versione rinvigorita STi: i gruppi ottici anteriori a forma circolare continuavano a non piacere e fu proprio per questo che nel 2003 Subaru decise di introdurre un restyling estetico che intervenisse proprio in quei punti che erano stati i più criticati.Derivante dalla versione da rally, la Subaru Impreza WRX Sti è la versione stradale "meno cattiva" ma ugualmente grintosa. La versione prodotta dal 2003 al 2005 montava un motore di 1.994 centimetri cubici di cilindrata che sviluppava 265 cavalli. In questo arco di tempo fu prodotta anche una versione speciale dell'Impreza WRX Sti, ovvero dotata di differenziale DCCD.
Lo scopo di questa versione speciale era di celebrare la vittoria nel 2003 di Petter Solberg nel mondiale rally con questa vettura.
A fine 2005, in previsione del 2006 e di conseguenza anche del mondiale rally è stato presentato il nuovo modello, che presenta varie differenze rispetto al vecchio. Innanzitutto si è attuato un restyling che ha toccato soprattutto il frontale dell'auto, e in minore misura la parte posteriore. Il motore è passato da 2.0 litri di cilindrata del vecchio modello ai 2.5 litri del nuovo modello.
Il motore della versione 2009, sempre boxer, fornisce 300 cavalli e una coppia motrice di 407 N m a 4000 giri.


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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 7 giugno 2013, 9:46 
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LRV-lunar roving vehicle


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l Rover lunare è un veicolo costruito e guidato dall'uomo, destinato al trasporto di campioni di terreno e degli astronauti. Fu portato sulla Luna dal Modulo Lunare della navicella Apollo.
Fu utilizzato per la prima volta il 31 luglio 1971 nell'ambito della missione Apollo 15 ed, in seguito, di nuovo ampiamente dalle missioni Apollo 16 e Apollo 17. Espanse di molto la capacità degli astronauti di esplorare la superficie lunare. Le prime missioni (sprovviste del rover) infatti si limitarono a compiere qualche balzo a piccola distanza dal Modulo Lunare, dato che l'ingombrante tuta spaziale non permetteva agli astronauti molto altro. Il rover lunare viaggiava fino a 13 Km/h, ma per via della elevata pericolosità (con un sesto della gravità terrestre), difficilmente superava i 4-5 Km/h.
Dopo aver svolto il suo dovere, il Rover fu abbandonato sulla Luna, dove si trova tuttora.
Costruito dalla Boeing e dalla General Motors, non ha un volante, ma una cloche simile a quella degli aeroplani, con la quale si comanda la marcia in avanti e indietro, e la sterzata (con una variazione del differenziale delle ruote, come per i carri armati). Inoltre, dovendo operare in un mondo senza aria e quindi senza ossigeno, non poteva logicamente disporre di un normale motore a combustione, che brucia benzina. Il motore quindi è elettrico, alimentato da batterie chimiche (36-volt argento-zinco non ricaricabili) con autonomia di cento chilometri percorsi a piena potenza. Ogni ruota è autonomamente motrice con un piccolo motore da un quarto di cavallo di spinta. I sedili sono in nylon, sagomati in modo tale da accomodare gli astronauti rivestiti dello scafandro lunare e dello zaino portatile di sopravvivenza.
La bassa gravità procurò una serie di vantaggi e di svantaggi rispetto alla guida sulla Terra. A causa dei sobbalzi piuttosto violenti causati dalla bassa gravità lunare, gli astronauti si dovettero legare a cinture di sicurezza robuste. Però, grazie alla gravità lunare, che è un sesto di quella terrestre, con la “Moon Rover” si riuscivano a superare pendenze del trenta per cento, e a saltare scarpate larghe fino a settanta centimetri: cosa pressoché impossibile sulla Terra. Le ruote erano formate da pneumatici che, anziché essere in gomma con camera d'aria, come le auto “terrestri”, avevano all'interno un anello elastico con una fitta rete di filo d'acciaio con un battistrada in tasselli di titanio. Un sistema di navigazione automatica consentiva all'auto lunare di viaggiare con sicurezza: la sua mansione era quella di evitare che gli astronauti si perdessero o che cercassero per troppo tempo il percorso di ritorno al LEM “Falcon”. Un problema importante era la polvere lunare che veniva sollevata, infatti essa è particolarmente abrasiva e poteve provocare danni alle strumentazioni e alle tute degli astronauti.
curiosità:
Il Rover lunare dell'Apollo 15 aveva una targa simile a quella delle comuni automobili. La targa, di colore blu, recita:
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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 7 giugno 2013, 13:07 
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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 7 giugno 2013, 13:28 
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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 8 giugno 2013, 8:42 
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porsche 908


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La 908 è un'autovettura da competizione prodotta dalla Porsche dal 1968 al 1971 in varie versioni, con carrozzeria berlinetta e spyder nonché con passi diversi in base alla destinazione d'uso. Nelle sue diverse "incarnazioni" vinse per quattro anni consecutivi la prestigiosa 1000 Km del Nürburgring dal 1969 al 1971.
Il suo poderoso motore 8 cilindri boxer raffreddato ad aria aveva una cilindrata di 2,994 litri e sviluppava una potenza di 320 CV nella prima versione, accresciuti in seguito fino a superare i 350 CV con il modello 908-03 del 1970/1971.
Il progetto della 908 prese vita allorché nell'estate del 1967 la C.S.I. (Commissione Sportiva Internazionale) comunicò che per la stagione 1968 del nascituro Campionato Internazionale Marche vi sarebbe stata una netta svolta nel regolamento tecnico.Viste le velocità sempre crescenti che si erano viste a partire dalla stagione 1966, in cui per i prototipi del Gruppo 6 non era previsto un requisito minimo di produzione e inoltre non era stabilito nessun limite di cilindrata, sebbene invece vi fossero limiti specifici alle vetture per quanto riguarda pesi, dimensioni e altre caratteristiche[2], per motivi di sicurezza, per la stagione 1968 fu deciso di imporre a tali il limite di cilindrata di 3.000 cm³ e che al contempo i campionati per "Vetture Sport" (appartenenti al Gruppo 4 e da produrre per il 1968 in almeno 50 esemplari) e "Vetture Prototipo", fino ad allora separati, fossero fusi in un unico Campionato Internazionale Marche che comprendeva le gare più importanti e in cui entrambe le categorie potevano ambire alla vittoria. In seguito
La Porsche, fino ad allora dominatrice tra i prototipi della classe fino a 2 litri ed esperta di piccole cilindrate, decise di realizzare una vettura con motore di tre litri per poter ambire per la prima volta alla vittoria assoluta del campionato e si basò sulle esperienze maturate con le precedenti Porsche 906, 910 e 907.
Progettata all'insegna della leggerezza, la 908 nacque con la carrozzeria coupé (denominata 908-01) nelle versioni a coda corta e a coda lunga e, in seguito all'emanazione (per la stagione 1969) da parte della C.S.I. di ulteriori requisiti per le vetture del Gruppo 6 in merito al peso, all'eliminazione della ruota di scorta, all'abolizione dell'altezza minima del parabrezza e alle dimensioni del portabagagli, la vettura fu trasformata in spyder (denominata 908-02), anche questa nelle due versioni specifiche per i vari tracciati, mentre per la stagione 1970 si portò il progetto all'estremo, realizzando la superspecialistica 908-03, dove il concetto di leggerezza fu applicato alla vettura fina a raggiungere livelli eccezionali: basti pensare che l'intera carrozzeria della vettura barchetta era composta da un unico pezzo di vetroresina del peso di poco più di 12 kg.
Cuore del progetto era il nuovo propulsore, un motore boxer 8 cilindri da tre litri raffreddato ad aria a due valvole per cilindro (come nella migliore tradizione Porsche), accoppiato inizialmente al cambio a 6 rapporti della 907, che venne sostituito da un nuovo, più affidabile e appositamente progettato cambio a 5 rapporti a partire dalla stagione 1969.
Dopo la sconfitta nel 1968 patita dalla Porsche per mano della Ford, nel 1969 la casa tedesca si aggiudicò il titolo di categoria nel Campionato Mondiale Sportprototipi grazie soprattutto alle vittorie ottenute dal modello 908, sia nelle versione normale che in quella a coda lunga, per i circuiti veloci; con il modello 908-01 a coda lunga Hans Herrmann perse però quell'anno la 24 Ore di Le Mans contro la Ford GT40 di Jacky Ickx per soli 120 metri distacco: probabilmente la sconfitta più famosa della storia delle corse. In seguito la Porsche cedette molti esemplari della 908 a squadre private , in quanto la squadra ufficiale impiegava la più grossa e potente Porsche 917: con il modello 908-01 a coda corta, Steve McQueen giunse secondo alla 12 Ore di Sebring del 1970. Con questa vettura Porsche iniziò anche la sua avventura nel Campionato CanAm.
Con la maturazione agonistica dalla Porsche 917, su cui la Casa di Stoccarda puntava per la vittoria assoluta nel mondiale Marche, per la stagione 1970 fu realizzato il modello 908-03, noto anche col soprannome di "bicicletta" (per via del peso di soli 500 kg), che nacque dall'unione del motore della 908-01 con un telaio della leggerissima Porsche 909 "Bergspyder" (auto nata per le cronoscalate) leggermente modificato per ridurre ulteriormente il peso e ottenere una vettura imbattibile nei circuiti tortuosi come il Nürburgring e quello della Targa Florio, gli unici in cui fu impiegata dalle squadre ufficiali Porsche J.W. Automotive Engineering Ltd., KG Salzburg e Martini International in sostituzione della pesante e poco adatta 917. La vettura fu protagonista di una doppietta alla Targa Florio del 1970 e proseguì il dominio Porsche alla 1000 Km del Nürburgring.
Per la stagione 1975, alcune Porsche 908/03 furono dotate da un nuovo motore 6 cilindri boxer turbo derivato da quello della Gran Turismo Carrera RSR Turbo ufficiale, al posto del non più competitivo 8 cilindri boxer aspirato e di queste le più vittoriosa fu quella della scuderia Joest Racing. Ma il progetto era agli inizi e nonostante i tre podi conseguiti nelle prime gare di campionato (e messi in guardia dal ritiro per rottura del turbo alla 1000 Km del Nürburgring), la scuderia Joest preferì presentarsi al via della 24 Ore di Le Mans 1975 con una Porsche 908-03 dotata del più affidabile 8 cilindri boxer aspirato e di una carrozzeria a coda lunga in quanto la vettura col motore nuovo non era stata ritenuta affidabile sulla distanza delle 24 ore: con la vecchia 908/03 riadattata Reinhold Joest, Jürgen Barth e Mario Casoni arrivarono quarti assoluti.
In ogni caso le esperienze fatte su quelle auto servirono da base per la realizzazione della Porsche 936 per la stagione 1976. Negli anni seguenti altri team privati modificarono la carrozzeria e la veste aerodinamica delle loro 908 ispirandosi alla 936. L'ultimo modello di 908 Turbo fu la 908/80: si scoprì in seguito chein realtà trattava di una vettura realizzata assemlando il telaio e il motore della 936 con la carrozzeria della più recente 908 di Reinhold Joest; partecipò alla 24 Ore di Le Mans 1980 arrivando seconda.


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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 9 giugno 2013, 16:28 
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ROLLS ROYCE CAMARGUE

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La carrozzeria della Camargue, costruita a Londra nella divisione Mulliner, è il primo esempio del dopoguerra di modello non disegnato all'interno della fabbrica ed è l'unico modello nella storia della casa disegnato da un designer italiano, Paolo Martin.
Al momento del lancio la Camargue era la punta di diamante della produzione della Casa e contemporaneamente l'auto di serie più costosa al mondo, venduta a quel tempo per circa 147.000 $.
Il modello venne venduto in un numero limitato di esemplari sui mercati di Europa, Stati Uniti, Canada, Australia e Asia. Il nome deriva da una razza equina caratteristica di una regione meridionale della Francia, la Camargue.
La piattaforma meccanica su cui era basata la vettura era in comune con altri modelli della casa, le Rolls-Royce Corniche e Silver Shadow. Era anche motorizzata dallo stesso propulsore da 6,75 L V8 della Silver Shadow, solo leggermente potenziato. La trasmissione, di fabbricazione General Motors, era con cambio automatico a 3 marce.
L'automobile, molto lunga e larga pur essendo un coupé, poggia su un passo di 3.048 mm. La Camargue presenta alcune soluzioni inedite all'interno della Casa: è stata disegnata per esempio usando le unità di misura del Sistema Internazionale, e possiede la calandra inclinata (di sette gradi); naturalmente anche su questo modello campeggia in evidenza il simbolo caratteristico della Casa, lo Spirit of Ecstasy. L'automobile inoltre è la prima in assoluto ad offrire nella dotazione di serie il climatizzatore automatico, sistema che ha necessitato di otto anni di ricerche per essere sviluppato.
La Camargue presenta una linea molto squadrata, che la distacca, stilisticamente parlando, dalle altre automobili del marchio, avvicinandola alle berline di lusso italiane. La larghezza dell'automobile è ulteriormente enfatizzata dai larghi fari anteriori e posteriori, e dalla calandra.
Le prime 60 Camargue prodotte erano equipaggiate con carburatore SU, le rimanenti 471 da un altro della Solex. Nel 1977 vennero equipaggiate con l'impianto di sterzo derivato dalla Silver Shadow dell'epoca e nel 1979 l'aggiornamento riguardò le sospensioni derivate dalla Silver Spirit.
La produzione cessò nel 1986 e negli undici anni di produzione ne vennero assemblati 531 esemplari, di cui uno su ordine speciale, marchiato Bentley.

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Marco - DS3 1.6 THP Sport Chic

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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 9 giugno 2013, 17:41 
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appena visto le foto non ho avuto alcun dubbio...il designer è lo stesso che ha disegnato la Fiat 130 coupé....che IMHO è molto più bella...

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Mike Zadra

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LA BIRRA PICCOLA E' IMMORALE


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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 9 giugno 2013, 18:28 
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in effetti è piuttosto discutibile la linea di questa rolls...

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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 11 giugno 2013, 17:29 
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JAGUAR XJ13

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Dal 1951 al 1957, la Jaguar, prima con la C-Type e poi con la D-Type, dominò la 24 Ore di Le Mans vincendo 5 edizioni su 7. Ma nel 1958, un cambio di regolamento, che limitava la cilindrata massima a 3000 cm³, costrinse queste vetture al ritiro dalle competizioni. Nei primi anni sessanta, un nuovo cambio di regolamento spinse alcuni uomini della Jaguar alla realizzazione di un prototipo per riportare la casa nelle competizioni. Questa vettura, che avrebbe dovuto montare un inedito (per la Jaguar) motore V12, fu progettata e costruita in gran segreto, in quanto l'allora presidente e fondatore dell'azienda sir Williams Lyons aveva espresso parere contrario alla sua realizzazione. Anche per questa ragione la costruzione, iniziata nel 1966, procedette molto lentamente, e la vettura non fu pronta per la 24 Ore di Le Mans del 1967, l'ultima al quale avrebbe potuto partecipare, in quanto nel 1968 ci fu un ulteriore cambio di regolamento, che limitando nuovamente la cilindrata a 3000 cm³ e il frazionamento a non più di otto cilindri, rese obsoleta la vettura.
Dopo la fine di ogni possibilità di impiego sportivo, la XJ13 venne accantonata fino al 1971, quando uscì la versione della E-Type con motore V12 derivato proprio da quello montato sul prototipo. La XJ13 venne quindi rispolverata e usata in filmati pubblicitari per il lancio della nuova vettura. Poco prima del termine delle riprese sul circuito del MIRA (Motor Industry Research Association) però una delle ormai vecchie ruote in lega cedette di colpo e la vettura uscì di pista, con conseguenze piuttosto gravi per la robusta Jaguar, cui solo l'abilità del collaudatore Norman Dewis evitò danni ancora maggiori. Due anni dopo l'incidente, nel 1973, l'auto venne ricostruita. Il motore, rimasto danneggiato nell'impatto, venne sostituito con l'unico degli altri sei con le specifiche da competizione. L'auto venne impiegata in varie manifestazioni pubblicitarie, e durante una di queste il motore rimase nuovamente danneggiato a causa di un fuorigiri prolungato. Si decise così di rimontare il motore dell'incidente, nel frattempo riparato. Poiché la riparazione aveva comportato la saldatura di un pistone, per sicurezza si decise di impiegare la vettura in modo limitato. Nel 2004, a Copenaghen, mentre veniva scaricata da un camion, la vettura urtò violentemente contro il marciapiede. I danni furono estesi, soprattutto al basamento del motore. La Jaguar iniziò quindi un profondo restauro, con la ricostruzione e la sostituzione della maggior parte delle componenti. La carrozzeria venne riparata e riverniciata con l'originale British Racing Green e la frizione venne sostituita con una nuova. Il motore venne riparato e riutilizzato a piena potenza dopo aver verificato ai raggi x la perfetta integrità del pistone saldato.
La XJ13 era equipaggiata con un V12 da 4994 cm³, con l'angolo tra le bancate di 60°. Questo motore, progettato da Claude Bailey, fu il primo 12 cilindri realizzato dalla Jaguar. La distribuzione era a doppio albero a camme in testa, ma le valvole per cilindro erano solo due. Ogni albero a camme era azionato da quattro ingranaggi, il primo collegato all'albero motore tramite una cinghia. L'alesaggio era di 87 mm e la corsa di 70 mm. L'alimentazione, all'inizio a carburatori, passò presto all'iniezione indiretta della Lucas che portò la potenza a 502 CV. Il motore, abbinato a un cambio ZF a 5 rapporti, era solidale al differenziale formando così uno schema di tipo Transaxle. Complessivamente furono costruiti 7 motori, di cui 2 con specifiche da gara. Dopo l'abbandono del progetto, il motore venne modificato, portando l'alesaggio a 90 mm e lasciando un solo albero a camme per bancata. Questo motore venne montato sulla E-Type e sulla XJ, in sostituzione del 6 cilindri ormai non più capace di tenere il passo a livello di prestazioni con la concorrenza.
Il telaio era una semimonoscocca in alluminio, il motore era longitudinale e in posizione centrale/posteriore, le sospensioni erano a doppi triangoli sovrapposti. La carrozzeria, disegnata da Malcolm Sayer, era realizzata in fogli di alluminio.

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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
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MASERATI 3200GT

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La 3200 GT è un'autovettura prodotta dalla Maserati tra il 1998 ed il 2001.
Questa coupé venne disegnata dall'Italdesign di Giorgetto Giugiaro, designer tra l'altro anche delle Ghibli, Bora e Merak.
Il motore, disposto anteriormente, è un V8 3200 cm³ biturbo da 370 CV (derivato da quello già utilizzato sulla Shamal e sulla Quattroporte), e permette alla 3200 GT di raggiungere una velocità massima di 285 Km/h, e di scattare da 0 a 100 Km/h in 5 secondi netti.
La Maserati 3200 GT Assetto Corsa è una versione speciale a numero limitato (56 per l'Italia e 194 per il resto del mondo), progettata per i clienti che richiedevano un allestimento ancora più sportivo. La presentazione avvenne nel marzo 2001, al salone dell’automobile di Ginevra.
La caratteristica principale di questa versione era l’adozione di un sistema di smorzamento intelligente, che permetteva la regolazione automatica di ogni singolo ammortizzatore a gas a livello di accelerazione verticale e laterale. Elaborando i dati rilevati da una serie di sensori, le sospensioni erano automaticamente in grado di adattarsi a 14 impostazioni diverse. Naturalmente, il controllo della trazione poteva essere completamente disattivato.
Inoltre, l’ "Assetto Corsa" adottava una barra stabilizzatrice anteriore più grande, molle più rigide, un assetto ribassato di 10 mm all'avantreno e 8 mm al retrotreno, pneumatici Pirelli P-Zero Corsa a mescola morbida, pastiglie racing, bocchette di ventilazione speciali, un nuovo servosterzo a risposta più rapida, pedali sportivi in alluminio, interni in pelle Connolly, cerchi in lega a 15 razze verniciati in color grigio scuro, la scritta “Assetto Corsa” incisa sui brancardi sottoporta le pinze dei freni rosse è la targhetta identificativa con numero progressivo.
Anche a causa del particolare disegno dei fanali posteriori a LED a "forma di boomerang" che contrastavano le direttive americane sulla visibilità notturna, la 3200 GT venne sostituita nel 2002 dalla Coupé che permise alla casa del tridente di tornare sul mercato americano.

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BUGATTI TIPO 41 ROYALE

Ettore Bugatti progettò tale vettura pensando di venderla solamente a una ristrettissima categoria di persone, in particolare re o principi, quindi l'auto venne immediatamente soprannominata "Royale" o "Golden Bugatti".
Tuttavia non ebbe un gran seguito, anzi per i primi sei anni a partire dal 1927 ne vennero costruite solo sei, delle quali la metà rimase agli stessi Bugatti. Ognuno di questi esemplari era carrozzato con un tipo diverso di carrozzeria. Inoltre, oltre ai sei esemplari ufficialmente realizzati, ve ne fu un settimo che in realtà non era una vera Type 41, ma una replica della Royale Roadster realizzata inizialmente per Armand Esders un magnate della moda vissuto in quegli anni.
La Type 41 era una vettura enorme, in grado di far impallidire le più prestigiose vetture dell'epoca, tra cui le Rolls-Royce. Questo "incrociatore da strada" pesava oltre 2.500 kg con un passo di 4.318 mm e montava un otto cilindri di derivazione aeronautica di 12.763 cm³ di cilindrata. Anni dopo la sua uscita di scena, alcuni dei pochi esemplari di Type 41 prodotti furono acquistati dai fratelli Schlumpf per la loro collezione privata.
Fu per molto tempo l'auto più costosa del mondo. Nel 1991, negli Stati Uniti un esemplare è stato venduto per la cifra considerevole di 8 milioni di dollari.

Le sei Bugatti Type 41 Royale costruite ufficialmente dalla Casa francese condividevano lo stesso telaio e lo stesso propulsore, ma furono dotate di sei differenti tipi di carrozzeria. Addirittura una delle sei Bugatti ha avuto due differenti carrozzerie durante la sua storia.

Coupé Napoléon
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Delle sei Royale, la Coupé Napoléon fu la prima in ordine cronologico: derivava direttamente dalla vettura il cui telaio fu utilizzato per i prototipi. Inizialmente tale telaio ospitava una carrozzeria Packard con un'unità motrice ancora più grande del già ciclopico propulsore che sarebbe stato utilizzato in seguito. Tale gigantesco propulsore provvisorio aveva infatti una cilindrata di 14.726 cm³. In occasione della sua presentazione, avvenuta a Parigi nel 1929, la vettura fu ricarrozzata come coupé ed in seguito come "coach". Poco tempo dopo lo stesso Ettore Bugatti ebbe un incidente con la vettura in questione che andò così distrutta. Il numero di serie del telaio originale fu però utilizzato per costruirne uno nuovo che sarebbe stato carrozzato come Coupé Napoléon. Tale vettura fu disegnata dal figlio di Ettore, Jean. La Coupé Napoléon era di fatto una coupé De Ville con carrozzeria bicolore nera e blu, dotata di tetto vetrato ed interni in velluto blu. Oggi si trova al Museo dell'Automobile di Mulhouse (Francia).

Berline de Voyage
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Disegnata da Ettore Bugatti, è considerata come la Royale che meglio esprime la personalità del patron della Casa francese. Si tratta di una berlina con capote apribile (praticamente una Torpedo di lusso). La sua livrea è bicolore gialla e nera. Fino al 1950 rimase di proprietà della famiglia Bugatti quando venne ceduta insieme alla Kellner al collezionista americano Briggs Cunningham, dopodiché passò di mano diverse volte fino al 1986, quando fu acquistata dal proprietario americano di una catena mondiale di pizzerie.

Coupé De Ville Binder
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La storia della "Coupé de ville Binder" è assai controversa: è l'unica Bugatti delle sei ufficialmente prodotte ad aver avuto due carrozzerie nel corso della sua storia. Nacque come roadster, in particolare, fu la vera, originale roadster del magnate della moda Armand Esders, quella a cui si sarebbero ispirati in seguito i ricchissimi fratelli Schlumpf per realizzarne una replica perfetta che sarebbe divenuta nota come "la settima Royale".
Nel 1938 fu venduta ad un politico francese che la fece ricarrozzare come coupé De Ville dal carrozziere Binder e la fece addirittura blindare utilizzando lamiere molto più spesse. Questa nuova carrozzeria era simile a quella della Coupé Napoléon ed aveva anch'essa una livrea bicolore nera e grigio-azzurra. A partire dal 1948 la vettura cambiò numerosi proprietari, fino al 1986, anno in cui fu acquistata da un ricco californiano.

Cabriolet Weinberger
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Delle sei Royale ufficiali è stata forse quella più oltraggiata dai suoi proprietari. Inizialmente era una cabriolet con una elegantissima livrea nera. Fu acquistata nel 1932 da un ricchissimo medico tedesco. La carrozzeria fu firmata da Ludwig Weinberger, un noto carrozziere di Monaco. Con questa vettura, il proprietario si trasferì negli Stati Uniti.
Nel 1943 la vettura, in stato di disuso, fu venduta all'allora vicepresidente della General Motors C.A. Chayne, che cominciò a restaurarla. Ma il nuovo proprietario apportò modifiche di sapore troppo americano, che possono far gridare al sacrilegio. Un esempio sono le trombe per il clacson sistemate sul muso, ma diverse "violenze" furono effettuate anche a livello meccanico. Nel 1959 la vettura fu venduta definitivamente al Museo Ford dove ancor oggi è possibile ammirarla.

Limousine Park Ward
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È l'ultima Royale venduta ad un cliente. Nel 1933 fu infatti acquistata da un industriale inglese che la fece carrozzare da Park Ward, un carrozziere noto in quegli anni e negli anni a venire per aver carrozzato auto di gran lusso, come per esempio molte Rolls-Royce. La sua imponente carrozzeria limousine è resa ancor più imponente dall'assenza di una livrea bicolore.
Internamente è completamente tappezzata con tessuti di altissimo pregio. Nel 1946 fu acquistata da un altro facoltoso inglese, il quale dovette allargare i passaruota per ospitare gli enormi pneumatici da 24 pollici, gli unici che potevano essere adattati su una vettura di tali dimensioni nell'immediato dopoguerra, visto che la reperibilità mondiale di ricambi era assai carente dopo il disastro del conflitto mondiale.
Dopo altri due passaggi di proprietà, oggigiorno la Limousine Park Ward è visibile al Museo dell'Automobile di Mulhouse, in Francia, assieme alla Coupé Napoléon.

Coach Kellner
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Realizzata nel 1932, fu utilizzata da Ettore Bugatti per il Salone di Londra di quell'anno. Rimase in casa Bugatti fino al 1950, come la Berline de Voyage. Nel 1950 venne venduta dalla figlia di Bugatti insieme alla Berline de Voyage all'imprenditore e pilota statunitense Briggs Cunningham, in cambio di poche migliaia di dollari e due frigoriferi Genaral Electric all'epoca introvabili in Francia. Rimasta nel museo privato di Cunningham fino alla sua chiusura nel 1986, nel 1987 fu venduta all'asta da Christie's allo svedese Hans Thulin per 5,5 milioni di sterline, ovvero 8,7 milioni di dollari. Nel 1989 Thulin la mise di nuovo all'asta a Las Vegas ma rifiutò un'offerta di 11,5 milioni di dollari, ma in seguito al suo crollo finanziario Thulin riuscì a venderla per 15,7 milioni di dollari alla Meitec Corporation giapponese dove è rimasta ferma per più dieci anni. In tempi più recenti risulta appartenente al broker svizzero Lukas Huni, pagata 10 milioni di sterline nel 2001.

Replica roadster Esders
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Si tratta della replica della Roadster posseduta da Esders che successivamente sarebbe stata ricarrozzata come coupé De Ville.
La storia di questa vettura risale al 1964, quando i ricchissimi fratelli Schlumpf, appassionati di Bugatti, provarono a convincere il collezionista americano Bill Harrah a vendere loro la vettura, oramai da tempo nella sua nuova veste di coupé De Ville. Di fronte al secco rifiuto di Harrah, i fratelli Schlumpf acquistarono un motore della Royale destinato all'uso su una motrice ferroviaria e a partire da tale unità motrice cominciarono i lavori di realizzazione di una replica pressoché perfetta della originale roadster. I lavori furono interrotti per la confisca dei beni degli Schlumpf, ma lo Stato, visto l'enorme significato storico di questa vettura e delle sue "sorellastre", decise di ultimarne i lavori.
Anche la replica della roadster Esders è oggi visibile al Museo dell'Automobile di Mulhouse.

Dati tecnici

Motore: otto cilindri in linea, blocco cilindri in ghisa in fusione unica con la testata e i supporti di banco
Alesaggio e corsa: 125 x 130 mm
Cilindrata: 12763 cc
Potenza massima: 278-300 CV a circa 2000 giri/min.
Distribuzione: monoalbero a camme in testa a tre valvole per cilindro, due di aspirazione e una di scarico.
Alimentazione: un carburatore a doppio corpo con sistema di preriscaldamento della miscela
Accensione: a magnete e spinterogeno con due candele per cilindro
Trasmissione: meccanica a tre velocità, prima ridotta, seconda in presa diretta, terza surmoltiplicata. Cambio in blocco con il differenziale e frizione separata.
Trazione: posteriore
Freni: a tamburo sulle quattro ruote
Ruote: in lega leggera fuse in pezzo unico con i tamburi freni, pneumatici 170x980 mm. o 7x24 pollici
Sospensioni: a balestre semiellittiche all'anteriore e due coppie di balestre quarto-ellittiche al posteriore
Velocità massima: 160 Km/h in presa diretta, stimata di 200 Km/h in terza surmoltiplicata
Passo: 4300 mm
Massa a vuoto: 2500 kg

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triumph TR7


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La TR7 (acronimo di Triumph Roadster 7) è stata un'autovettura prodotta dalla Triumph dal 1975 al 1981. La versione della TR7 con motore più potente, nota come TR8, è stata invece prodotta dal 1978 al 1981.
Assemblata inizialmente a Liverpool, la produzione si spostò a Coventry nel 1978 ed a Solihull nel 1980. Il modello è stato lanciato negli Stati Uniti nel gennaio del 1975, mentre sul mercato britannico debuttò nel maggio del 1976. Questo ritardo fu dovuto alla forte richiesta di TR7 dal mercato statunitense. La TR7 apparteneva alla categoria delle vetture sport. La sicurezza era molto curata, con una robusta struttura scatolata che rinforzava i montanti del tetto e la scocca (di tipo portante, integrata nel telaio) a deformazione controllata.A metà degli anni settanta la British Leyland (di cui faceva parte la Triumph, raggruppata con Rover e Jaguar nella Special Division), avviò la progettazione di una sportiva totalmente nuova in grado di sostituire al contempo le MG B e le Triumph TR6. La linea della nuova vettura venne realizzata dallo stilista Harris Mann dello studio "Longbridge". La crescente attenzione per la sicurezza, la congiuntura poco favorevole alle vetture sportive e la crisi finanziaria della BL, suggerirono di limitare lo sviluppo alla sola versione coupé a 2 posti. Se la meccanica non concedeva molto alle novità (a parte la sospensione posteriore a ruote indipendenti con doppi bracci), la linea era totalmente nuova e originale ed anche gli interni erano molto moderni, sebbene privi di qualsiasi riferimento alla tradizione Triumph, per questo la TR7 non viene considerata dagli appassionati appartenente alla gloriosa dinastia delle Triumph Roadster, poiché troppo è il distacco con le linee e gli interni classici.
La TR7 era caratterizzata da una forma a cuneo. La linea fu disegnata da Harris Mann, che progettò anche la simile Leyland Princess. La TR7 aveva installato un motore a quattro cilindri in linea da 1.998 cm³ di cilindrata e distribuzione monoalbero che erogava 105 CV di potenza (92 CV negli Stati Uniti). Questo propulsore, che era dotato di due valvole per cilindro, derivava da quello installato sulla Triumph Dolomite ed era montato anteriormente. La trazione era posteriore ed il cambio era manuale a quattro rapporti (la quinta marcia era però opzionale) oppure automatico a tre velocità. Le sospensioni erano a molle elicoidali. Erano installate, sia all’avantreno che al retrotreno, delle barre antirollio. I freni anteriori erano a disco, mentre quelli posteriori erano a tamburo. Ci fu l’intenzione di usare, sulla TR7, il motore a 16 valvole della Dolomite Sprint, ma l’idea non ebbe seguito.
La TR7 fu proposta con carrozzeria roadster due porte e coupé due porte. All’inizio del 1979 venne introdotta la versione cabriolet, e nel 1980 la versione spyder.
Ma il punto debole della TR7 (questo il nome della vettura, nonostante fosse una coupé), era la linea: originale ma poco riuscita, con quel tetto che sembrava posticcio (sembrava quasi un hard top) e quel montante posteriore verticale e rivestito in plastica nera. Quando la vide, per la prima volta al salone dell'automobile di Ginevra del 1975, Giorgetto Giugiaro, in visita allo stand Triumph, non voleva credere fosse un modello definitivo da produrre in serie. La produzione, invece, partì davvero nel 1976, ma la vettura non ebbe il successo sperato. Per correre ai ripari venne approntata una versione "Estate" ed un coupé quattro posti denominato "Linx". Entrambe le versioni si fermarono allo stadio di prototipo definitivo, senza raggiungere la produzione di serie. Della "TR7 Estate" vennero costruiti alcuni esemplari dal carrozziere Crayford. L'ultimo "esperimento" fu di affidare un nuovo progetto a Giovanni Michelotti, il quale approntò la "TR7 Broadside", un Coupé 4 posti di piglio particolarmente sportivo e linea cuneiforme. In fase di realizzazione del prototipo, il bozzetto originale venne talmente stravolto da risultare irriconoscibile e, sostanzialmente, impresentabile. Come amava ripetere il grande stilista, "il cammello è la forma assunta dal cavallo dopo la riunione dei direttori". Egualmente infruttuoso si rivelò il tentativo di rilanciare il modello con l’introduzione della TR8.
Quando nel 1979 venne presentata la versione spyder, molti pensarono ad un pronto riscatto del modello: eliminato quell'orrendo tetto la vettura risultava elegante e moderna. Tuttavia quando venne avviata la commercializzazione in Europa (marzo 1980) era troppo tardi e anche la bella TR7 Roadster, non ebbe il successo sperato.


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FORD COUGAR

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Il tentativo di vendere un'autovettura di questa tipologia sul mercato europeo (Italia esclusa), venne già effettuato in precedenza con la Ford Probe, fornita con le stesse motorizzazioni (L4 2.0 e V6 2.5). La Cougar venne disegnata con una linea orientaleggiante, simile a quella della vetture giapponesi.
Con un corpo vettura da grande coupé lungo 4,70 metri e largo 1,77 metri e l'accattivante stile "new edge" inaugurato da Ford a partire dal modello Ka, la Cougar può essere considerata la sorella maggiore della Ford Puma. La carrozzeria era a 3 porte con 4 posti e il bagaglio poteva essere espanso da 410 a 930 dm cubici.
Proprio come la Capri, la quale venne realizzata a partire dal disegno della Cortina, la Cougar venne costruita sulla base dell'auto di media grandezza disponibile all'epoca, la Mondeo, utilizzando però il pianale della versione station wagon, che a differenza di quello della tre volumi consentiva un più sportivo design della zona posteriore dell'auto.
La Ford Cougar venne introdotta nel mercato mondiale nel dicembre del 1998 (negli Stati Uniti sotto il marchio Mercury) ed uscì definitivamente di produzione nel 2002. In Italia venne distribuita a partire dal secondo semestre del 1999 ed abbandonò il mercato nella metà del 2001, con circa 1200 esemplari venduti.
Solo in America, dato il successo del veicolo, nel tardo 2001 viene presentato il primo ed unico restyling denominato "Anniversary", restyling che riguardava i paraurti, interni e la colorazione "Chelby" della carrozzeria: la strumentazione a sfondo blu, volante di derivazione dalla Mondeo ST220, sedili con livrea bicolore e nuove colorazioni.
In Italia la Cougar venne venduta in una sola versione, dotata di motore Duratec da 2,5 litri, mentre in Germania e in Inghilterra venne venduta anche con un 2 litri Zetec. Per questi mercati venne anche realizzata una versione speciale da 200CV in tiratura limitata, denominata ST200, con solo alcune modifiche all'aspirazione e alla distribuzione effettuate dalla SVT (Sport Vehicles Team). Tutte le versioni avevano in comune un cambio a 5 marce e la trazione anteriore. Nel mercato Italiano non è mai stata introdotta la versione più diffusa oltreoceano, dotata di cambio automatico a 4 rapporti.

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MessaggioInviato: 25 giugno 2013, 10:20 
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ALFA ROMEO 33

L'Alfa 33 deve il suo nome alla 33 Stradale ed è la diretta discendente dell' Alfasud. Infatti, dalla sua progenitrice erediterà il motore boxer e alcuni dettagli meccanici e logistici: ad esempio, la disposizione della pedaliera che sopravviverà a lungo nella casa di Arese, nonché la divisione della vasca servizi dal vano motore, che allo stesso tempo conferiva robustezza strutturale all'avantreno, mentre la stabilità del retrotreno della nuova 33 continua ad essere garantita dal parallelogramma di Watt, che equilibra l'ormai consueto assale rigido posteriore. Viene invece razionalizzato l'impianto frenante, all'epoca raffinato, ma troppo esoso e ricercato; se ne adotta uno più pratico e convenzionale: i dischi anteriori che al centro fiancheggiavano il cambio ora si trovano più comunemente alle ruote, ai dischi posteriori vengono sostituiti i più tradizionali tamburi mentre il freno a mano, che prima comandava le pinze anteriori, ora agisce sulle ganasce posteriori; una soluzione che inoltre rendeva le manutenzioni più semplici e quindi meno onerose per l'utente. Totalmente nuovo è invece il vestito che Ermanno Cressoni confeziona per la nuova Alfa che adotta una carrozzeria più dinamica ed in linea con gli allora moderni stilemi fatti di spigoli e linee più decise e quadrate: viene mantenuta la soluzione a cuneo, ma la rivoluzionaria coda tronca e spiovente di Giugiaro ora sembra quasi il baule di una 3 volumi, nel quale però si mimetizza il moderno portellone che tanto era stato invocato sull'Alfasud. Tuttavia rimane molto simile lo schema portante della carrozzeria: ad esempio il vano della ruota di scorta è identico, come altrettanto lo è il serbatoio e la sua ubicazione, uguale anche l'apertura del cofano motore ed il pianale nonché la dislocazione della presa di rifornimento.
Analogamente a quanto successo per l'Alfa 75, nonostante l'anzianità della base meccanica, la modernità del progetto originario permise alla neonata Alfa 33 di mantenere elevata l'immagine del marchio che la distingueva.
La proverbiale tenuta di strada, la brillantezza di guida fatta di agilità e accelerazione e, non ultimo l'inconfondibile e accattivante rombo che per più di un decennio diede voce all'Alfasud, facevano dell'Alfa 33 una vettura che aveva tutte le premesse di una sportiva. Così, come negli anni settanta accadde per la vecchia gloria di Pomigliano d'Arco che ogni tanto capita di veder sfrecciare in qualche pellicola poliziesca, a partire dal 1984 anche l'Alfa 33 fu adottata dalle forze di Polizia per la squadra volante nei grandi centri urbani, sia come vettura con le insegne ufficiali che come auto civetta.
Inoltre va detto che l'Alfa 33, come in primis l'Alfasud, era una vettura che a generose prestazioni coniugava una cilindrata relativamente bassa di soli 15 cavalli fiscali, ciò la incoronò come l'Alfa per tutti che avvicinò il pubblico giovanile all'Alfa e che diffuse il virus: molti ex utenti Alfasud e Alfa 33 furono poi felici possessori delle più costose Alfa 75 e Alfa 164. Sia sotto il profilo tecnologico sia sotto quello commerciale l'Alfa 33 assieme all'Alfasud sono state importantissime per il Marchio del Biscione più di quanto si pensava allora: ebbero un ruolo fondamentale nell'alfizzazione del popolo, per cui non solo le prestazione e un indovinato design, ma anche l'abbordabile cilindrata ne consacrò il notevole successo.
L'Alfa 33, disponibile solo in versione a 5 porte (berlina e wagon), veniva assemblata a Pomigliano d'Arco e fu un grande successo: tra il 1983 e il 1995 vennero prodotti quasi un milione di esemplari, il che ne fece la seconda vettura più venduta in assoluto nella storia dell'Alfa Romeo dopo l'Alfasud (la quale superò il milione di esemplari prodotti). Nei 12 anni di produzione subì molte evoluzioni, sia tecniche che estetiche, tuttavia si può dividere la carriera del modello in 2 serie.

La prima serie (1983-1986)
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Al momento della presentazione (1983) era disponibile in 2 versioni, la 1.3, spinta dal 4 cilindri di 1351cm³ da 79cv alimentato da un carburatore doppio corpo (lo stesso delle Alfasud 1.3 SC) e la 1.5 Quadrifoglio Oro che però, a differenza della poderosa Alfasud Quadrifoglio Oro da 95 CV che si muoveva agilmente con i suoi due carburatori Weber bicorpo, aveva un propulsore più parsimonioso di 85 CV ma altrettanto allegro, in pratica quello che equipaggiava le vecchie (oggi introvabili e ricercate) versioni a 4 porte dell'Alfasud Super 1.5, cioè la motorizzazione di punta della vecchia gamma Super. Le due varianti della 33 differivano anche per l'allestimento interno ed esterno. La più ricca Quadrifoglio Oro era riconoscibile per la mascherina color argento metallizzato, gli ampi fascioni neri laterali, i copricerchi integrali, i profili color oro nei paraurti, gli indicatori di direzione anteriori con trasparente bianco, i rivestimenti interni in tessuto pregiato, il volante in legno e la dotazione più completa. La 1.3, priva di fascioni laterali, aveva invece la mascherina nera, coprimozzi neri sui cerchioni, i trasparenti arancioni per le frecce anteriori, il volante in plastica, rivestimenti meno pregiati e una dotazione di accessori ridotta. Una delle particolarità della prima serie consisteva nel quadro strumenti solidale con il piantone del volante regolabile ispirato vagamente alla Lamborghini Miura.
Nel 1984, con la definitiva uscita di scena delle Alfasud, la gamma della 33 si arricchì delle versioni 1.3 S, 1.5 4x4, 1.5 Quadrifoglio Verde e Giardinetta.
L'Alfa 1.3 S era simile alla normale 1.3, ma equipaggiata col 1351cc dotato di quattro carburatori accoppiati, capace di erogare 86cv (ex Alfasud Ti 1.3). La 1.5 Quadrifoglio Verde (spinta dalla versione da 105cv del boxer di 1490cc, anch'esso proveniente dall'omonima versione dell'Alfasud Ti) aveva una connotazione sportiva: paraurti e fascioni verniciati, mascherina specifica, cerchi in lega, bandelle sottoporta, sedili anteriori sportivi con poggiatesta traforati. La versione 1.5 4x4 berlina derivava dalla Quadrifoglio oro ma era dotata di trazione integrale inseribile manualmente e di motore dotato, nella versione iniziale, di un solo carburatore doppio corpo con potenza di 84 CV. Importante (e finalmente di successo) anche la riuscita versione station wagon a 5 porte, denominata Giardinetta. Disegnata da Pininfarina e dotata di un allestimento simile a quello della Quadrifoglio Oro, la Giardinetta era disponibile nelle versioni a trazione anteriore o 4x4, entrambe dotate di motore da 1490 cm³ e 95 CV nella versione con due carburatori doppio corpo. Le versioni a doppia trazione della prima serie venivano carrozzate dalla Pininfarina di Torino.
Il più evidente difetto delle 33 prima serie erano i consumi, legati al profilo abbastanza corsaiolo degli alberi a camme ed al sistema di alimentazione a carburatori. Anche il livello di finitura (non esaltante), l'impianto di ventilazione (poco efficiente) ed i freni (sottodimensionati su alcune versioni) non soddisfacevano.

restyling (1986-90)
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Il 1986 fu l'anno della maturità per la piccola Alfa 33. Nell'autunno di quell'anno un intervento di natura commerciale ne cambiò la denominazione da “Alfa 33” in “33”, che si distinguevano per pochi particolari estetici: le nuove targhette di identificazione cromati, gli indicatori di direzione anteriori (bianchi) e posteriori (con trasparente bianco e rosso anziché arancio/bianco e rosso), la nuova calandra a maglie orizzontali più larghe e con il nuovo scudetto, i paraurti ritoccati e le sottili minigonne estese a tutta la gamma. Ma le vere novità erano all'interno, che era stato completamente ridisegnato: la tormentata plancia cedette il posto ad una più convenzionale, dal design lineare interrotto solo dal compatto cupolino fisso (nella prima versione era mobile con il volante) della strumentazione, identica a quella delle serie precedenti, ma meglio leggibile. Cambiava anche il volante, che perdeva il curioso “cuscino” centrale, mentre i rivestimenti e i pannelli porta si facevano più “importanti”. La gamma '88, razionalizzata negli allestimenti, ma non in alcuni difetti congeniti (non era più disponibile il computer di bordo e l'Alfa Romeo Control era a richiesta, mentre il climatizzatore rimase inefficace), era composta dalle 1.3 e 1.3 S, dalla 1.5 TI da 105 cv, che sostituiva le precedenti Quadrifoglio Verde e Quadrifoglio Oro, dalla 1.5 4x4 da 105 cv e dalle nuove 1.7 Quadrifoglio Verde e 1.8 Turbodiesel, dotata non di un 4 cilindri boxer ma di un 3 cilindri in linea, prodotto dalla VM Motori, derivato dal 4 in linea dell'Alfa 90. Nell'estate del 1986 viene prodotta un'edizione speciale, basata sulla "1.3" denominata "33 1.3 Silver" caratterizzata dal bel colore "bianco metallizzato", speciale targhetta identificativa rossa, interni specifici color crema con cuciture fantasia centrali nei sedili, tettuccio apribile in cristallo brunito e sottile striscia in due tonalità di rosso lungo tutta la carrozzeria. La Silver monta il motore Boxer da 1351 cm³ a un carburatore doppio corpo per una potenza di 79 CV. L'estate successiva la Silver, alla cui dotazione vengono aggiunti solo gli alzacristalli elettrici anteriori di serie, beneficia di un importante evoluzione passando al propulsore della "1.3 S" ovvero dal mono ai due carburatori doppiocorpo per una potenza di 86 CV. Prodotta in edizioni limitate (solo 1700 esemplari) oggi le Silver sono molto difficili da trovare (m.dieng). Alfa 33 Silver 86cv Il my 88 rispetto a quello dell'86 era riconoscibile per il diverso logo posteriore, dove la scritta 33 perdeva la lingua blu in cui c'era scritta la motorizzazione e per la prima lamella della calandra che diventava in tinta con la vettura. La versione Giardinetta era denominata, con una nuova targhetta cromata applicata sul posteriore, Sport Wagon.

La seconda serie (1990-95)
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Ma nel panorama automobilistico di fine anni ottanta la concorrenza sfornava modelli sempre più evoluti stilisticamente, specie nel segmento C, quello cioè delle vetture medie: nel 1988 fecero la loro comparsa la Fiat Tipo e la Renault 19, e l'anno seguente furono rinnovate anche la Peugeot 309, la Volkswagen Golf e la Rover serie 200. Pertanto nell'autunno del 1989 anche l'Alfa 33 venne sottoposta a un sostanzioso restyling, che la omologò al nuovo family feeling introdotto dalla 164. Vennero modificati il frontale (completamente nuovo, spiovente e con paracolpi più avvolgenti), la coda allungata, alta e tronca e dotata di nuovi gruppi ottici simili a quelli della 164 che la attraversano trasversalmente, le maniglie delle porte, gli specchietti retrovisori ed i gocciolatoi. Gli interni, già completamente ridisegnati in concomitanza col face lifting del 1988, non vennero modificati se non in pochi particolari e nell'impiego di nuovi materiali e rivestimenti. Il lavoro di restyling riguardò qualche tempo dopo anche la versione Giardinetta, adesso denominata Sportwagon, intervenendo nella parte anteriore, ed in alcuni particolari del posteriore (gruppi ottici con freccia oscurata, paraurti più avvolgente). Anche la gamma dei motori venne rivista. Alla base si collocavano le 1.3 (1351cc, 2 carburatori e 86cv), le 1.5 (1490cc, 2 carburatori, 105cv) e le 1.5 i.e (1490cc, dotato di iniezione elettronica, 98 cv). Il top della gamma era rappresentato dal 1700 a iniezione, con testata a 8 (107cv) o 16 valvole (132cv). Per la 1.7 16v e "8v" era disponibile sia la trazione anteriore, sia quella integrale. Per la versione 1.7 8v la trazione alle ruote posteriori era ad inserimento comandato da apposito interruttore posto in plancia e controllata da apposita centralina elettronica, mentre per la versione 16 v denominata Permanent 4 (<93) oppure Q4 (>94) la motricità era costantemente attiva sulle 4 ruote e trasferita all'occorrenza al ponte posteriore da giunto Ferguson (o giunto viscoso), anche in questo caso, il tutto controllato da apposita centralina collocata nel bagagliaio. La meccanica e il telaio subirono adeguamenti solo marginali, per correggere quanto possibile le noie alle sospensioni e alla geometria dell'avantreno, mentre l'abitacolo fu ulteriormente affinato.
A tale lista andrebbe aggiunta una 4x4 con motorizzazione 1300, con trazione integrale inseribile derivata dalla 1.5, nella sola versione Sport Wagon prodotta in relativamente pochi esemplari (3129) dal '90 al '94 (dal '91 anche catalizzata), oggi una vera rarità.
Le versioni con motore di 1.5 e 1.7 litri 8v si distinguevano per i paraurti in tinta e l'allestimento più ricco, mentre Quadrifoglio Verde e Permanent/Q4 avevano una connotazione decisamente sportiva: mascherina anteriore contornata di colore rosso, spoiler anteriore e specchi retrovisori esterni in tinta, alettone posteriore in tinta, bandelle sottoporta in tinta, paraurti maggiorati in tinta, ruote in lega specifiche e sedili sportivi.
Nel 1992 venne tolta di listino la Turbodiesel, mentre all'inizio del 1993, con l'obbligo del catalizzatore, tutti i motori vennero dotati di impianto di iniezione multipoint e marmitta catalitica. Le potenze erano di 90 CV per le 1.3 i.e., di 97 CV per le 1.5 i.e., di 107 CV per le 1.7 i.e. e di 132 CV per le 1.7 i.e. 16v.
Tra le VERSIONI SPECIALI a SERIE LIMITATA, si può ricordare la 33 Imola, dapprima la versione Imola 1 del 1991/92, poi nel 1993 l'esordio della Imola 3 (ben riguardata),prodotta in fine serie, per soli circa 2000 esemplari.., con motore 1.351 cm³ boxer iniezione elettronica - 90CV Catalitica, avente particolari finiture sia estetiche che di interno, come minigonne aerodinamiche, alettone posteriore, cerchi in lega diamantati, interni in pelle/camoscio alcantare, poggia testa posteriori, pomello cambio e volante in pelle (Nardi..) (ben diversa dalla Imola 1, che era allestita con sedili in normale tappezzeria scozzese), autoradio, ed altri accessori di serie. Auto particolarmente aggressiva e sportiva, venne prodotta in tre colori: rossa, bianca e nera.
Così, dal 1993 al 1995, la 33 continuò ad essere presente sul mercato con le sole versioni catalizzate, giungendo alla soglia del milione di esemplari. Nell'autunno del 1994 la 33, che ormai sentiva veramente il peso di ben undici anni di carriera, prima di uscire definitivamente di scena affiancò la neonata 145, sua erede, fino all'esordio della 146 nel 1995, anch'essa destinata a rimpiazzarla.

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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 28 giugno 2013, 15:53 
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renault twizy



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Nella seconda metà degli anni 2000, la Renault ha investito diversi miliardi di Euro per il programma Z.E. (Zero Emissions), finalizzato alla realizzazione di una intera gamma di vetture a trazione totalmente elettrica e ad impatto zero sull’ambiente. Tali ingenti investimenti hanno via via preso forma in una decina d'anni, fino a che nel 2009 non sono stati presentati i primi prototipi. Tra questi figurava la Twizy Z.E. Concept, un veicolo elettrico che consisteva in un curioso incrocio tra una superutilitaria ed uno scooter. Le prime reazioni del pubblico furono per la maggior parte di intolleranza e di disgusto, sia per le particolari linee della vetturetta, sia per la scarsa presa che la trazione elettrica esercitava sul pubblico stesso.
Ma la Casa della Losanga ha tirato dritto dichiarando che la vettura figurava nei prossimi programmi produttivi e che entro breve tempo avrebbe potuto essere ordinata. Così in effetti è stato: il 2 ottobre 2010, al Salone di Parigi il veicolo è stato presentato in veste definitiva e con il nome di Twizy.
Il piccolo quadriciclo in versione definitiva riprende il concept del 2009: è stato conservato quindi il caratteristico corpo vettura privo di portiere e con parafanghi sporgenti ed il caratteristico abitacolo a due posti in tandem. Anche il frontale conserva il muso a doppi proiettori singoli circolari, mentre la coda è rimasta senza lunotto, sostituito da un grosso faro posteriore.
Questo veicolo è classificato come motoveicolo, e come tale non segue quindi le norme di circolazione valide per le automobili. È, per esempio, sprovvisto di ABS, dispositivo che per le automobili è obbligatorio di serie dal 2000. Viene classificato motociclo leggero o pesante a seconda di quale delle due versioni disponibili si prenda in esame. In effetti, la Twizy è disponibile in due motorizzazioni, entrambe completamente elettriche e con motore asincrono. Nel caso del motociclo leggero eroga solo 5 CV di potenza massima, sufficienti per far raggiungere alla vetturetta i 45 Km/h, mentre nel caso del motociclo pesante si raggiungono 17 CV e la piccola Renault riesce anche a raggiungere 80 Km/h di allungo. Nel primo caso, la vetturetta prende il nome di Twizy 45, mentre nel secondo caso viene chiamata semplicemente Twizy. L’autonomia, grazie al peso ridotto (446 kg per la Twizy 45, compresi 100 kg di batterie), è di circa 100 Km e la ricarica completa avviene in circa 3 ore e mezzo.
Per quanto riguarda il resto della meccanica, è previsto lo schema pseudo-MacPherson sui due assi, mentre i freni sono a dischi pieni e del diametro di 214 mm all’avantreno e di 204 mm al retrotreno. La trasmissione della coppia motrice avviene attraverso un cambio automatico a rapporto unico. Le dimensioni del motociclo (in millimetri) sono: 2.338 di lunghezza (con passo di 1.686) 1.237 di larghezza e 1.454 di altezza. Il peso varia dai 446kg ai 474kg.[2][3] Dal debutto è commercializzato in tre diversi livelli di allestimento: Urban, Color e Technic. Tutti e tre gli allestimenti sono dotati di 2 posti (posto guidatore più posto "di fortuna" posteriore). Il primo consiste nella versione base mentre il secondo permette la personalizzazione del colore del tetto e degli interni e offre un tappetino interno. L'ultimo allestimento, il Technic, dispone di una dotazione più ricca. Però non è disponibile un climatizzatore in nessuna versione, in quanto tale dispositivo, assorbendo un consistente quantitativo di energia, avrebbe reso necessario l'uso di batterie più potenti: per prevenire gli appannamenti, non ci sono vetri laterali.


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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 1 luglio 2013, 10:05 
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MERCEDES-BENZ CLK GTR

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Con la soppressione del campionato DTM-ITC alla fine della stagione 1996 nel quale la Mercedes-Benz ha militato per diverse stagioni e prodotto vetture Turismo dai contenuti tecnolocici molto avanzati, viene a mancare anche una delle serie dell'automobilismo a ruote coperte più importanti. La Mercedes-AMG che già aveva allo studio una versione della nuova classe CLK conforme al regolamento ITC per la stagione 1997 è costretta ad abbandonare questo progetto. La casa tedesca, si concentra quindi all'emergente campionato BPR Global GT Series nel quale sono coinvolte Porsche, McLaren, Ferrari e che dal 1997 passerà sotto l'egida della Federazione Internazionale dell'Automobile come "Campionato FIA GT."
Non disponendo di una Gran Turismo stradale a livello della concorrenza, l'AMG realizza in soli 4 mesi un modello completamente nuovo che, per questioni di marketing, richiama sia nell'estetica, sia nel nome il coupé di fascia media della gamma Mercedes, la CLK.
La vettura, realizzata per competere nella classe GT1 del mondiale GT, è dotata di un telaio monoscocca e di carrozzeria in fibra di carbonio, sospensioni a doppi triangoli sovrapposti con ammortizzatori di tipo pull-rod. Il propulsore è un V12 con bancate a 60° di 5.987 cm³ a 4 valvole per cilindro, preparato dalla AMG e in grado di sviluppare oltre 600 CV. La vettura ispone di un cambio meccanico sequenziale a 6 rapporti e la trazione è posteriore. La scelta di una cilindrata entro i 6 litri, inferiore a quella del modello stradale, è legata al limite di 6.000 cm³ previsto dal regolamento tecnico delle competizioni.
Il motore V12 Mercedes-Benz venne installato su un telaio di una McLaren F1 GTR per i primi test in pista, allo scopo di avere dai test in pista, indicazioni su come impostare l'aerodinamica e le altre componenti meccaniche prima di costruire la vettura definitiva. Grazie agli importanti dati raccolti nei test, la AMG costruisce in soli 128 giorni una vettura GT inedita, concepita appositamente per le competizioni ed in funzione del regolamento GT1, diversamente da altre vetture rivali derivate da un modello stradale modificato per gareggiare. Infatti l'omologazione stradale della vettura necessaria per poter far correre l'analogo modello in pista arriverà solamente a Campionato FIA GT 1997 ormai concluso.
La CLK-GTR debutta alla 4 Ore di Hockenheim 1997, un esemplare si ritira per problemi ai freni mentre l'altra termina a 2 giri di distacco dal vincitore; già alla seconda gara termina alle spalle della McLaren vincitrice, mentre alla terza gara arriva il primo successo con doppietta. Nel corso della stagione il team AMG ottiene altre 5 vittorie, rimontando in classifica i rivali della McLaren e sorpassandoli all'ultima gara: la Mercedes vince il titolo costruttori e il suo pilota Bernd Schneider ottiene il titolo piloti.
Nella stagione agonistica 1998, la GTR viene impiegata dal team ufficiale nei primi due appuntamenti del campionato per poi essere sostituita dalla nuova Mercedes-Benz CLK-LM, 2 GTR affidate ad un team privato continuano invece a correre il resto del campionato.

Versioni stradali
La CLK GTR omologata per la circolazione stradale è stata prodotta in una serie limitata a 25 esemplari, costruiti a mano presso la struttura della HWA, il reparto vetture da competizione della Mercedes-AMG. Due le varianti di carrozzeria: la coupé e la roadster.

CLK GTR coupé
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Realizzata in 20 esemplari, è la versione che più ricorda il modello da competizione, rispetto al quale monta sempre un motore V12, ma proposto in 2 varianti di cilindrata entrambe superiori: da 6,9 litri e da 7,3 litri.
Con il motore da 6,9 litri capace di sviluppare 631 CV a 6.800 giri/min la vettura scatta da 0 a 100 Km/h in 3,8 secondi e da 0 a 200 Km/h in 9,8 secondi, la velocità massima è superiore ai 320 Km/h.
La variante con motore da 7,3 litri di cilindrata in grado di sviluppare una potenza di 664 CV a 6.500 giri/min[2], accelera da 0 a 100 Km/h in 3,5 secondi, per lo scatto da 0 a 200 Km/h impiega 9,5 secondi, mentre la velocità massima è di oltre 320 Km/h.
La trasmissione è meccanica sequenziale a 6 rapporti con comandi al volante, più retromarcia, lo sterzo è servoassistito e l'impianto frenante è dotato di ABS.

CLK GTR roadster
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Prodotta in soli 5 esemplari, è la versione scoperta della Gran Turismo di Stoccarda, dietro i sedili si elevano due rollbar a protezione del conducente e del passeggero. La meccanica è la stessa della versione coupé, tuttavia è disponibile solo con il motore da 6,9 litri di cilindrata e la potenza è inferiore, 612 CV a 6.800 giri/min.

Il motore 7.3 verrà anche utilizzato in futuro sulla Pagani Zonda F

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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 4 luglio 2013, 12:02 
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...............e siccome non sò mettere le foto ........pensateci voi !!!! :D

Una delle auto più belle è la

BUGATTI SC 57 ATLANTIC !!!!!!!

saluti clod


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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 4 luglio 2013, 13:17 
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complimenti....ottima scelta :ya:

bugatti type 57



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La Type 57 nacque nel 1934 per sostituire la Type 49. La vettura nacque su un nuovo telaio, che ben presto, dopo pochissimo tempo dal debutto della Type 57, cominciò ad essere impiegato anche in campo agonistico, anche se senza molto successo. La Type 57 è stata una delle vetture di maggior successo commerciale della Casa francese. Sebbene fosse stata una vettura di lusso, decisamente costosa e riservata perciò a pochi, ottenne ugualmente dei numeri di vendita che oggi farebbero sorridere (poco più di 700 esemplari prodotti), ma che all'epoca erano decisamente significativi. Anche presso chi non possedeva una Bugatti Type 57, essa si rese comunque famosa. Nata da un progetto firmato quasi interamente da Jean Bugatti, figlio del patron Ettore, la Type 57 finiva per essere ultimata dai carrozzieri che, su ordinazione del cliente, ne personalizzavano la carrozzeria. I carrozzieri che all'epoca vestivano le auto di lusso considerarono la Type 57 come una vera e propria manna piovuta dal cielo, in quanto sul telaio di tale vettura nacquero dei veri e propri capolavori stilistici. La Type 57 fu prodotta sostanzialmente in quattro varianti di carrozzeria: berlina, coupé, roadster e cabriolet, anche se vi furono alcuni esemplari allestiti come auto da corsa, per le gare accennate prima. Tali configurazioni di carrozzeria davano luogo perciò anche a varianti a due o a quattro posti. I carrozzieri che si cimentarono sulla Type 57 furono moltissimi: Gangloff, Ventoux, Galibier e Voll & Ruhrbeck, tanto per citarne alcuni, ma non vanno dimenticate le bellissime Atlantic ed Atalante, due nomi simili ma che indicano due carrozzerie differenti.
Comune a quasi tutte le Type 57 era la caratteristica linea, molto bassa e profilata per l'epoca, che rendeva la vettura molto filante ed aerodinamica, secondo una tendenza stilistica molto in voga nella seconda metà degli anni trenta. Il "cuore" della Type 57 era un 8 cilindri in linea direttamente ereditato dalla Type 49. Tale motore aveva una cilindrata di 3257 cm³ e disponeva di distribuzione a doppio asse a camme in testa. Con queste caratteristiche, il propulsore della Type 57 arrivava ad erogare 135 CV a 5000 giri, ma dal 1937 comparvero versioni sovralimentate tramite compressore volumetrico in grado di arrivare a 160 CV. La velocità massima era di 180 Km/h per le versioni apirate e di 193 Km/h per le versioni sovralimentate, dato che comunque poteva variare anche in funzione del tipo di carrozzeria adottato e del differente coefficiente di penetrazione aerodinamica. La trazione era posteriore ed il cambio era manuale a 4 velocità. Tra le altre innovazioni tecniche vi furono gli ammortizzatori telescopici e, sulle Type 57 S, anche la lubrificazione a carter secco. Gli ultimi esemplari erano dotati anche di freni idraulici. La Bugatti Type 57 rimase in produzione fino al 1939, dopodiché fu pensionata e tolta dai listini.
Come già spiegato, la Type 57 era una di quelle auto di lusso destinate ad essere personalizzate dai carrozzieri dell'epoca. I livelli di personalizzazione spaziavano tra diverse possibilità, ma sostanzialmente si poteva scegliere tra uno stile più convenzionale ed uno stile più avveniristico e caratterizzato da linee basse e filanti. Tra i principali carrozzieri appartenenti alla prima scuola stilistica vi erano Galibier e Ventoux, che realizzarono delle carrozzerie decisamente austere, con corpi vettura relativamente alti ed anche occasionalmente con un vano posteriore riservato alla ruota di scorta, che si raccordava perfettamente con il resto della carrozzeria. Erano carrozzerie realizzate nello schietto stile di metà anni '30, con forme morbide, ma non estreme, dotate di una certa aerodinamicità, moderata, ma decisamente evidente. Molto più estrema ed esasperata era la ricerca aerodinamica nelle realizzazioni di Gangloff e nelle versioni Atalante ed Atlantic. Erano carrozzerie per lo più coupé e cabriolet, caratterizzate da un corpo vettura decisamente basso e profilato, e dotato di soluzioni stilistiche decisamente fuori dal coro a quei tempi, ma che farebbero scalpore perfino oggigiorno.
Se prendiamo per esempio le Type 57 carrozzate da Gangloff noteremmo per esempio un corpo vettura estremamente basso e profilato, all'insegna dell'aerodinamicità più pura. La coda era molto sfuggente e le sue due estremità sporgenti ricordavano le ali di una strana, enorme creatura. Anche i fari anteriori erano fissati su supporti carenati, mentre spesso i cerchi erano non più a raggi ma pieni e dal disegno molto liscio.
Altre due realizzazioni molto aerodinamiche, e famosissime all'interno del panorama delle Bugatti, erano le Type 57 Atlantic ed Atalante. La prima era forse la più aerodinamica tra le Bugatti. Dotata di un corpo vettura basso e profilato, aveva il posto guida talmente arretrato da essere a ridosso del retrotreno.
I finestrini laterali avevano un profilo a fagiolo che si sposava magistralmente con il resto della vettura. Il tetto è caratterizzato dall'avere un intaglio per l'alloggiamento della grandi portiere. Il padiglione era ad arco, con un vano per la ruota di scorta talmente ben raccordato al resto del corpo vettura da essere quasi invisibile ad una prima, rapida occhiata. Un'ulteriore caratteristica di questa carrozzeria sta nel corpo vettura, tagliato longitudinalmente da una spina che parte dal radiatore a finisce all'estremità inferiore della coda, andando a tagliare in due il lunotto ed il parabrezza. Le ruote potevano essere sia a raggi che piene. In ogni caso si era di fronte ad una creazione impressionante per la stravaganza delle sue forme, ancor più se si pensa che si tratta di una creazione della seconda metà degli anni '30.
La Type 57 Atalante è invece simile alla Atlantic, ma dotata di una coda più pronunciata e tondeggiante. Spesso la Atalante veniva rifinita con una livrea bicolore che ne esaltava l'eleganza. Altra caratteristica stava nelle ruote posteriori, spesso carenate, per accentuare l'idea di aerodinamicità della vettura. Nel complesso l'Atalante era molto più morbida e sinuosa nelle linee, grazie proprio a questa sua coda più prominente che la snelliva ed alla più moderata ricercatezza della sua linea. Manca per esempio la spina longitudinale dell'Atlantic, a tutto vantaggio di una linea più semplice e pulita, anche se forse leggermente meno affascinante della prima. La Atlantic era invece più estrema, grazie a soluzioni stilistiche del tutto particolari. Oggigiorno una Type 57 con carrozzeria aerodinamica, sia essa una Gangloff, una Atlantic o una Atalante, arriva a quotazioni molto alte, dell'ordine dei 500-600 000 Euro.


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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 4 luglio 2013, 14:01 
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E' proprio la più bella degli anni trenta......... a ruota (II° posto) metterei l'alfa romeo
poi anni cinquanta ovviamente la Citroen DS poi BASTA !!!!

saluti clod


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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 4 luglio 2013, 15:14 
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è fantastica poi il motore 8 cilindri in linea ha un rumore fantastico!!!!!
.....ne ha una Ralph Lauren quello delle polo....

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