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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 10 maggio 2013, 17:14 
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PORSCHE 959

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Questa produzione limitata si rese necessaria per poter iscrivere la vettura all'allora in voga Gruppo B (comprendente tra le altre la Lancia Delta S4) che prevedeva un numero minimo di 200 esemplari per l'omologazione. Le novità comprendevano, oltre a un complesso sistema di trazione integrale denominato PSK (Porsche-Steuer Kupplung), quattro valvole per cilindro, raffreddamento ad acqua delle testate, pistoni forgiati in alluminio, bielle in titanio, DOHC, due turbocompressori sequenziali, lubrificazione a carter secco e una centralina Bosch Motronic con iniezione digitale di accensione. Inoltre un sistema elettronico escludeva una delle due turbine ai regimi più bassi e la faceva entrare in funzione solo quando era richiesta la massima potenza dal motore. Il progetto risaliva al 1981 e la presentazione del primo prototipo avvenne al Salone dell'automobile di Francoforte nel 1983. La versione definitiva venne svelata sempre nella stessa città due anni dopo con l'inizio produzione fissato al 1986. Grande attenzione fu rivolta alla tecnologia, la 959 non solo era dotata di sospensioni a controllo elettronico e di sensori di pressione pneumatici ma anche di un avanzatissimo sistema di trazione integrale che nel 1995 troverà posto, per la prima volta nella storia della 911, nella Porsche 911 Turbo (serie 993).
La 959 montava un motore 6 cilindri boxer di 2850 cm3 di cilindrata in grado di erogare 450 cv. La velocità massima che poteva raggiungere era di circa 317 Km/h con un'accelerazione sullo 0-100 Km/h di 3,7 secondi agevolata dalla trazione integrale. All'epoca era l'auto stradale più veloce al mondo, record mantenuto fino all'arrivo nel 1987 della Ferrari F40.
Oltre alla versione standard, denominata Comfort, della 959 fu prodotta anche una versione alleggerita e semplificata, battezzata S (Sport). Dotata di sospensioni sportive convenzionali e non a controllo elettronico, alleggerita di circa un centinaio di kg per via dell'assenza dei sedili posteriori, dei complessi sistemi elettronici di bordo, della riduzione dei materiali fonoassorbenti e della semplificazione delle finiture, nonché dello specchietto retrovisore posto sul lato destro, era caratterizzata da prestazioni decisamente superiori: 0-100 Km/h in 3"6, 340 Km/h di velocità massima e motore potenziato a circa 515 cv. Sono state costruite 288 Porsche 959, di cui 29 nella versione sport. La sua rivale per eccellenza di allora fu la Ferrari F40.
Nel 1984 Porsche decide di partecipare alla Parigi-Dakar sviluppando la vettura, partecipa con diversi prototipi anche nel 1985 ma solo nel 1986 la 959 è completa e ottiene primo, secondo e quinto posto. L'auto è quasi identica al modello di produzione "Sport" ma con una maggiore altezza da terra. Il motore è stato limitato a circa 400 cv per poter funzionare correttamente con la scarsa qualità del carburante reperibile in Africa. Per dimostrare la validità del progetto viene sviluppata anche una versione da competizione su asfalto denominata Porsche 961. Tra i proprietari celebri della Porsche 959 figurano Bill Gates, fondatore di Microsoft e il tennista tedesco Boris Becker.

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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 12 maggio 2013, 18:55 
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BUGATTI EB110

Nel 1963 la Bugatti terminò la sua produzione automobilistica, che negli ultimi 15 anni si mantenne a livelli precari, proponendo auto di scarsissimo successo commerciale. Tale rapido declino avvenne anche a causa della morte di Ettore Bugatti, la cui mancanza contribuì non poco al tramonto della Casa francese che fu assorbita nel 1963 dalla Hispano-Suiza.
Ma nel 1989 il nome Bugatti fu rispolverato dall'imprenditore italiano Romano Artioli, che ne acquisì i diritti e si mise immediatamente al lavoro per la realizzazione di una "supercar" che potesse rivaleggiare con le migliori produzioni di quel periodo. Gli stabilimenti per la realizzazione di questa vettura non erano più in Francia, ma a Campogalliano (MO).
Nel 1990 la vettura era già pronta, ma fu presentata ufficialmente solo nel settembre del 1991. L'anno della presentazione fu scelto perché nel 1991 ricorrevano i 110 anni dalla nascita di Ettore Bugatti, di cui "EB" sono le iniziali. Da ciò derivava quindi anche la denominazione ufficiale della vettura: EB 110. La vettura era dotata di tecnologia d'avanguardia ed era spinta da un potente motore V12, sotto il profilo delle prestazioni non aveva nulla da invidiare a super sportive contemporanee quali Lamborghini Diablo e Ferrari F40.
La EB 110 è spinta da un 12 cilindri a V di 60º, con monoblocco in lega di alluminio, testate in alluminio e titanio, sistemato in posizione posteriore centrale longitudinale. Tale propulsore è dotato di lubrificazione a carter secco, distribuzione a due alberi a camme in testa per bancata, con 5 valvole per cilindro, la cilindrata è di 3.500 cm³, alesaggio 81,0 mm e corsa 56,6 mm. L'alimentazione ha una particolarità esclusiva, infatti è affidata ad un sistema di sovralimentazione, consistente in ben 4 turbocompressori IHI. A seconda delle versioni eroga dai 560 CV a 8.000 giri/min ai 610 CV a 8.250 giri/min. È dotata di 2 serbatoi per il combustibile, per una capacità totale di benzina di 120 litri.
Il capo progettista di questa Gran Turismo è l'ing. Paolo Stanzani, già direttore tecnico della Lamborghini e padre della Countach, mentre la linea è opera di Marcello Gandini, il quale aveva realizzato in precedenza vetture prestigiose quali Lamborghini Countach e Lancia Stratos. Il tecnico italiano nel concepire la EB 110 concentrò i suoi sforzi nel massimo contenimento del peso del corpo vettura, e ci riusci progettando il telaio in modo innovativo: venne realizzata una vasca centrale costituita da una monoscocca in fibra di carbonio, interconnessa al motore e a telai ausiliari in alluminio ai quali sono fissati pannelli in alluminio.
L'EB 110 è stata la prima automobile stradale ad utilizzare la tecnologia del telaio in fibra di carbonio, materiale però al tempo ancora esotico e di difficile produzione, perciò la realizzazione delle monoscocche venne affidata all'azienda francese Aerospatiale, specialista nel settore aeronautico e con grande esperienza in questo tipo di lavorazioni.
Per trasmettere efficacemente l'enorme potenza del motore e garantire una maggior sicurezza delle persone a bordo, venne adottata la trazione integrale di tipo permanente con tre differenziali, con ripartizione della coppia motrice al 73% sul retrotreno e al 27% sull'avantreno. Il modello Super Sport è dotato invece della sola trazione posteriore. Il cambio era a sei marce. L'impianto frenante era anch'esso di prim'ordine, avvalendosi di dischi Brembo autoventilanti da 322 mm di diametro e con pinze freno a 4 pompanti, dotato di ABS.

Bugatti EB 110 GT
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Rappresenta il modello base, questa versione è spinta da un motore capace di sviluppare 560 CV a 8.000 giri/min, la coppia motrice erogata raggiunge un picco massimo di 608 Nm a 3.700 giri/min, con un rapporto di compressione di 8,0:1, trazione integrale permanente, il peso totale è di circa 1.620 kg, raggiunge una velocità massima di 342 Km/h (all'epoca era l'auto più veloce al mondo), per accelerare da 0–100 Km/h impiega 3,5 secondi.
Nel 1994, un esemplare di EB 110 GT venne modificato per funzionare a metano. Grazie ad un sofisticato impianto di iniezione elettronica del metano, la potenza sviluppata passò da 560 a 650 CV aumentando la pressione dei turbo in virtù del più elevato numero di ottano di questo gas rispetto alla benzina. La vettura stabilì sul circuito di Nardò il record mondiale di velocità massima per vetture di serie omologate per uso stradale, con una velocità massima di 344,7 Km/h, dimostrando come anche una Gran Turismo estrema equipaggiata con un sistema disponibile in commercio e alimentata da un carburante alternativo possa raggiungere prestazioni di rilievo, addirittura superiori a quelle ottenibili con la normale alimentazione a benzina.

Bugatti EB 110 Super Sport
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Presentata al Salone dell'automobile di Ginevra 1992, si tratta dell'evoluzione della già estrema GT, con un'indole sportiva più marcata, è priva di alcuni equipaggiamenti e comfort presenti sulla GT, a livello estetico si differenzia principalmente per la presenza di 5 piccole prese d'aria ovali per il vano motore poste sul montante subito dietro i finestrini laterali ora fissi e di cui solo un piccolo riquadro si abbassa, monta un alettone posteriore fisso, i cerchi delle ruote sono a sette razze.
Per quanto riguarda la parte meccanica, la differenza è l'adozione della sola trazione posteriore che assieme ad altri accorgimenti hanno permesso di ridurre significativamente il peso a circa 1.470 kg, questa è anche la versione più potente, il motore potenziato è in grado di sviluppare 610 CV a 8.250 giri/min, la coppia motrice erogata raggiunge un picco massimo di 637 Nm a 3.800 giri/min, risultati ottenuti tramite l'innalzamento della pressione del turbo, mentre il rapporto di compressione scende a 7,5:1.
Le prestazioni su strada sono le seguenti: raggiunge una velocità massima di 351 Km/h, per accelerare da 0–100 Km/h impiega 3,3 secondi, fu la prima automobile stradale a registrare un tempo inferiore ai 20 secondi nella prova di percorrenza del chilometro con partenza da fermo, coprendo la distanza in 19,6 secondi.
Nel 1995, sul mare ghiacciato nei pressi di Oulu in Finlandia, la vettura stabilì il record del mondo di velocità su ghiaccio raggiungendo i 296,3 Km/h.
Nel 1994 Michael Schumacher acquistò una di queste vetture, contraddistinta da una colorazione giallo banana, regalando buona visibilità all'azienda.

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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 13 maggio 2013, 16:04 
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cadillac eldorado '90




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Nel corso del 1992 fece la sua apparizione una nuova Eldorado, le cui dimensioni esterne erano solo leggermente maggiori rispetto a quelle del modello prodotto in precedenza. La sua carrozzeria era caratterizzata da una linea particolare, che la facevano sembrare di dimensioni maggiori rispetto a quelle reali. Furono nuovamente adottati i finestrini senza telaio, prerogativa della casa, e successivamente, appena fu disponibile, essa venne equipaggiata con l'eccellente motore "Northstar V8". La combinazione fra una linea esteriore molto più gradevole e razionale rispetto a quella che aveva caratterizzato il modello precedente, abbinata all'utilizzo di un propulsore eccellente, rese questo modello molto più simile alle grandi Eldorado del passato e, in generale, i commenti degli operatori del settore e della tipica clientela del marchio all'apparire sul mercato automobilistico del modello furono positivi, così come pure lo fu il successivo responso di carattere commerciale, tanto che i valori dei numeri di vendita del modello ripresero a salire, anche se non raggiunsero mai quelli toccati in precedenza nel corso degli anni migliori.
Complice l' evolversi dei gusti della clientela, i potenziali acquirenti però cominciarono a manifestare uno scarso interesse per i modelli caratterizzati dalla scocca a due porte, tanto che La Toronado e la Riviera cessarono di essere prodotte in questo periodo, e anche un modello come la Seville, una quattro porte, prodotto dalla stessa Cadillac superò nei valori dei numeri di vendita quelli della stessa Eldorado.
Apparì quindi chiaro che con l'avvicinarsi del nuovo millennio, il destino della Eldorado era ormai segnato.


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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 13 maggio 2013, 17:44 
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BMW 507

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Il progetto per la realizzazione della 507 fu affidato al conte Albrecht von Goertz, già autore della linea della 503. La vettura definitiva era pronta già nel 1955, quando vi fu una prima apparizione in anteprima a New York, presso il Waldorf-Astoria, in modo da rendere la nuova vettura visibile anche alla clientela facoltosa d'oltreoceano.
La presentazione ufficiale, però, avvenne al Salone di Francoforte dello stesso anno, mentre la commercializzazione cominciò all'inizio dell'anno seguente.
La linea appare subito poco appariscente ma decisamente ricca di fascino ed eleganza. La 507 non rappresentava, come per la 300SL Mercedes o come la Chevrolet Corvette di quegli anni, un modello di punta con scopo quasi pubblicitario più che economico, ma era, per la BMW del dopoguerra, una necessità economica. Alla BMW infatti si sperava che quest'auto avrebbe sfondato sul mercato americano e che avrebbe così sanato la situazione economica della casa tedesca. Per soddisfare i più esigenti, la roadster tedesca poteva essere dotata a richiesta di un hard-top che la trasformava in una coupé a due posti secchi.
Ma le cose non andarono come sperato. Vennero prodotte solo 252 BMW 507 (253 secondo alcune fonti), in confronto alle oltre 26000 unità totali dei modelli 190 e 300SL, prodotti dalla Mercedes-Benz. Molti individuano la causa di tale fallimento nelle prestazioni della BMW, decisamente inferiori a quelle della sua diretta concorrente: la 300SL. La SL raggiungeva i 260Km/h e passava da 0 a 100 Km/h in meno di 8 secondi, mentre la 507 si fermava a 201 Km/h di velocità massima e impiegava 9,4 secondi per il passaggio da 0 a 100 Km/h. Anche la potenza era inferiore: a parità di cilindrata, il motore Mercedes sviluppava 240CV, mentre il motore V8 BMW ne erogava solo 150 a 5000 giri. Probabilmente per evitare problemi di affidabilità al V8 già montato a suo tempo sulla 502, si preferì lasciarne la potenza ad un livello non troppo elevato. Tramontata la 507, la sua erede più affine sarebbe arrivata solo 40 anni dopo e avrebbe portato il nome di Z8.
La 507 è considerata da molti come una delle più belle roadster mai costruite: a ciò contribuì la sua linea slanciata, forse il capolavoro di von Goertz, bassa, filante, dinamica. Il frontale, assai sottile ed aerodinamico reinterpretava il concetto della calandra a "doppio rene", proponendola in una forma sviluppata in larghezza, subito sotto il muso appuntito. Ai lati, i tondi fari anteriori erano incastonati sui classici rigonfiamenti ai lati del cofano che proseguivano all'indietro inglobando i parafanghi anteriori. Una piccola presa d'aria è collocata al centro del lungo cofano motore, il quale termina alla base del curvo parabrezza decisamente inclinato.
La fiancata esprime un notevole dinamismo grazie alla sua linea di cintura relativamente alta, che si abbassa in corrispondenza delle portiere e si rialza subito dietro, creando un effetto ondulatorio. L'unico vezzo presente sulla fiancata è rappresentato dallo sfogo d'aria laterale dietro il parafango anteriore, una sorta di "branchia".
La coda è piuttosto corta e arrotondata, dotata di piccoli fari posteriori: le ridotte proporzioni della coda stessa donano ulteriore dinamismo alla linea della vettura, il cui posto guida si viene a trovare a ridosso del retrotreno, come su altre roadster classiche.
Il propulsore della 507 è un 8 cilindri a V di 90° già presente su tutte le BMW di lusso degli anni cinquanta, della cilindrata di 3168 cm³. Condiviso con la 502 e con la 503, tale motore trova qui la sua massima evoluzione, dal momento che già fin dai primi esemplari destinati al mercato europeo eroga una potenza massima di 150 CV a 5000 giri/min. Ciò è stato reso possibile dall'adozione di due carburatori doppio corpo Zenith. Ma per il mercato americano, la 507 arrivò ad erogare 195 CV. Per il resto, tale V8 mantenne le caratteristiche degli altri V8 da 3.2 litri presenti sulle altre BMW dell'epoca, tra le quali la distribuzione ad un albero a camme laterale, con valvole in testa.
La trasmissione prevedeva una frizione monodisco a secco, con cambio a 4 marce sincronizzate.
Telaisticamente, la 507 proponeva un telaio a longheroni scatolati sul quale era montato un aventreno a ruote indipendenti ed un retrotreno ad assale rigido, entrambi provvisti di barre di torsione longitudinali. L'impianto frenante era costituito da freni a tamburo sulle quattro ruote.

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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 16 maggio 2013, 17:05 
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holden hurricane



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La Holden Hurricane è una concept car realizzata dalla casa automobilistica australiana Holden per essere esposta al salone di Melbourne del 1969.
La vettura presentava per l'epoca soluzioni tecnologiche altamente all'avanguardia, quali un cruscotto digitale per tenere sotto controllo tutti i parametri della vettura e un sistema di navigazione denominato Pathfinder che era in grado di suggerire il percorso al pilota della vettura tramite dei magneti integrati negli incroci della rete stradale.
Il propulsore che spinge la Hurricane è un 4.2 l V8 da 262 cavalli, in grado di spingere la vettura da 0 a 100 Km/h in 5,3 secondi. Tale propulsore è inserito all'interno di una scocca realizzata in fibra di vetro verniciata di arancione metallizzato. Una particolarità di questa carrozzeria è che non implementa portiere. I passeggeri infatti possono accedere all'abitacolo tramite il tettuccio che si apriva verso l'alto grazie ad un azionamento idraulico.
La vettura è stata totalmente restaurata nel 2011 dopo 5 anni di lavoro da uno staff guidato da Paul Clarke, attuale manager della Holden
Nel lontano 1969 accessori come il sistema di navigazione, la telecamera posteriore, il climatizzatore automatico o l'autoradio con RDS erano componenti fantascientifici sulla maggior parte delle automobili ma non sulla concept car Holden Hurricane.
Dopo oltre quarant'anni di vita, la Holden Hurricane è stata completamente restaurata grazie al lavoro di Paul Clarke e del suo staff. Secondo il manager del marchio australiano" la Hurricane ha un ruolo fondamentale nella storia di Holden e doveva essere riportata al suo antico splendore. Nonostante il lungo lavoro, il risultato ripaga tutti gli sforzi".


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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 17 maggio 2013, 15:25 
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FIAT DINO

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La Dino Fiat nacque da un accordo tra la Fiat e la Ferrari, nato dall'esigenza della Casa di Maranello di costruire rapidamente un numero sufficiente di motori Dino (così chiamati perché derivati da un progetto del 1956 dello scomparso figlio di Enzo Ferrari, Alfredo, detto Dino) per ottenere l'omologazione in Formula 2 della Ferrari Dino 166 F2.
Così, accanto alle più costose Dino 206 GT, venne deliberata la produzione di più abbordabili (anche se sempre costose) versioni a marchio Fiat. In realtà, la condivisione tecnica tra le "Dino" della Ferrari e quelle Fiat era limitata al motore V6.
Le Dino 206 GT non venivano commercializzate con il marchio Ferrari, bensì con il marchio Dino, senza scritta Ferrari né sui motori né sui cofani e senza il cavallino rampante, che venivano riservate alle Ferrari 12 cilindri.
L'impostazione tecnica era totalmente diversa e, sulle Fiat, piuttosto classica: motore anteriore, trazione posteriore, avantreno a ruote indipendenti con triangoli sovrapposti, retrotreno a ponte rigido, cambio manuale a 5 marce e freni a disco (con servofreno) su tutte le ruote. La prima "Dino" della Fiat ad essere presentata fu, nella primavera del 1966, la Spider, una due posti secchi disegnata da Pininfarina e non priva di similitudini estetiche coi modelli Ferrari (e non era un caso, visto che derivava da alcuni bozzetti che lo stilista aveva presentato proprio alla Casa di Maranello). Oltre che del design Pininfarina si occupò anche della costruzione del modello presso i suoi stabilimenti.
L'esuberante e scorbutico motore V6 di 1987 cm³, tutto in alluminio e dotato di distribuzione a 4 alberi a camme in testa (2 per bancata), metteva in crisi il retrotreno. L'abbondante potenza (160 cv a 7200 giri/minuto) erogata in modo poco lineare, il passo corto (2256 mm) e l'arcaica geometria della sospensione posteriore, rendevano la Dino una vettura molto nervosa. Inoltre il basamento in alluminio del V6 soffriva i repentini sbalzi di temperatura, che tendevano a deformare le canne dei cilindri.
Al Salone dell'automobile di Torino del 1967 venne presentata la Dino Coupé, con carrozzeria disegnata da Bertone. Dotata della stessa meccanica della "Spider" (salvo il passo allungato a 2550 mm), la Coupé aveva un'impostazione più elegante che sportiva (le dimensioni dell'imponente coupé fastback, con abitabilità per 4 persone, erano importanti: 4514mm di lunghezza e 1709 di larghezza). Anche in questo caso, come in quello della spyder, anche la produzione venne affidata al designer stesso che ne produsse più di 6.000 esemplari nei cinque anni di vita del modello. Il comportamento stradale era meno reattivo di quello della spyder, soprattutto per il passo più lungo, la minor compattezza della carrozzeria (la spyder era lunga 4107 mm) e la massa maggiore (1280 kg contro i 1150).
Nel 1969 entrambe le versioni vennero aggiornate. La cilindrata del motore, che adottò basamento in ghisa (la testa rimase in alluminio) per ovviare i problemi della deformazione delle canne dei cilindri, crebbe a 2418 cm³ (la potenza era di 180cv), mentre il retrotreno (ora identico a quello della 130) divenne a ruote indipendenti. Con questo motore l'auto raggiungeva i 205 Km/h nella versione coupé e i 210 in quella spyder. Gli interventi estetici furono minimi, sia per la spyder che per la coupé: mascherina verniciata in nero opaco privo dello stemmino FIAT ora installato sul cofano motore, nuovi cerchi, plancia con consolle centrale ridisegnata e finiture migliorate, tra cui la predisposizione posteriore per cinture di sicurezza a due punti.
La produzione cessò nel 1972. Nessun modello ne raccolse l'eredità.

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lada niva



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La Lada Niva è un veicolo fuoristrada, adatto anche per l'uso su strada e percorsi cittadini, prodotto dalla Lada-Vaz negli stabilimenti di Togliatti. Nel corso degli anni alla classica versione 3 porte era stata affiancata anche la cabrio 2 porte con capotte in tela ripiegabile, mentre in Russia la Niva è disponibile anche nella versione a passo lungo e carrozzeria 5 porte e in diverse versioni pick-up.La progettazione della "Niva" (in italiano "campo") iniziò nel 1971: il capo progetto era Vladimir Sergeevicha Solovev, mentre il designer si chiamava Valery Pavlovich Semushkine.
Il prototipo definitivo fu presentato ufficialmente il 24 febbraio 1976, al XXV Congresso del Partito Comunista Sovietico, immediatamente avviando una produzione sperimentale di 150 esemplari al mese, allo scopo di mettere a punto le linee di montaggio ed eventuali difetti costruttivi della vettura.
La Niva si impose su diversi mercati (in Europa ebbe grande successo commerciale soprattutto in Francia): il motore Fiat 1.6, lo stesso della Zhiguli, era ancora, all'epoca della presentazione, un motore brillante e moderno; gli iniziali problemi di giochi nella trasmissione e di consumi eccessivi furono attenuati con il passare degli anni.
La Niva fu equipaggiata, nel frattempo, anche con un motore diesel Peugeot 1.9 aspirato (circa 69 cavalli). Nel 1993 la Niva viene leggermente rivista nella meccanica, con un motore dotato di iniezione single-point ed aumentato a 1.700 cm³, nonché ridisegnata nella zona posteriore, con un nuovo portellone e nuovi fari. L'attuale versione, commercializzata in Italia dal 2001 ad oggi, monta l'identico propulsore di 1.700 cm³, modificato nell'iniezione (ora multi-point) e adeguato ai nuovi standard europei, disponibile anche con alimentazione DUAL FUEL benzina-GPL con impianto Stargas Polaris.
Il progetto della Niva era assai innovativo per l'epoca perché giungeva ad unire caratteristiche proprie dell'attuale categoria delle Sport Utility Vehicles (la scocca portante, sebbene di tipo fuoristradistico (tipo uniframe), e la trazione integrale permanente ottenuta con differenziale centrale, all'epoca in uso solo sulla Range Rover e poche altre) con caratteri da offroader pura (ridotte, ponte rigido posteriore, blocco manuale e totale del terzo differenziale, notevoli angoli caratteristici, passo molto corto), con in più la peculiarità assoluta della indipendenza del sistema riduttore-blocco differenziale, così da permettere l'inserimento delle ridotte anche senza aver bloccato il differenziale e viceversa, garantendo così la massima direzionalità possibile. Una soluzione, quest'ultima, che a tutt'oggi può essere vanto di pochissime fuoristrada (Land Rover e Toyota Land Cruiser).
Propulsore: Inizialmente un 1.6 SOHC di derivazione FIAT, a carburatore, monoalbero a camme, con distribuzione a catena. Si tratta della stessa unità montata in Casa Fiat per la prima volta nel 1966 sul modello 124 e poi adattata nelle sue varianti a numerosi modelli fino al 1981; dal '92 al '96 è stato dotato di carburatore elettronico; dal '97 al 2002 è stato adottato il 1.7 ad iniezione elettronica monopoint elaborato sullo stesso schema del Fiat SOHC; negli anni successivi fino ad ora il medesimo 1.7 ad iniezione multipoint. In alcuni mercati europei è comparso parallamente alle altre motorizzazioni un 1.9 turbodiesel Peugeot, ora non più commercializzato in UE.
Trasmissione: Fino al '96 tramite giunto cardanico, dal '96 è stato adottato il giunto omocinetico, allo scopo di incrementare silenziosità e resistenza e di ridurre vibrazioni e manutenzione. Dopo il 2002 è dotata di semiassi con millerighe di diametro maggiorato, da 27 mm anziché da 24 mm.
Ciclistica: Dopo il '96 è stato allungato il passo allo scopo di migliorare le caratteristiche dinamiche.
Estetica: Nel '96 è stato introdotto un nuovo disegno del cruscotto e un nuovo disegno del bagagliaio, con apertura a raso, allo scopo di agevolare il carico, e dei fari posteriori, verticali e non più orizzontali in risposta al nuovo disegno del bagagliaio.
Tutt'oggi la Niva viene scelta in oltre 150 paesi non solo per la sua spiccata robustezza e semplicità costruttiva: tutto è ancora rigorosamente manuale, a tutto vantaggio della affidabilità e della facilità di manutenzione e riparazione, mentre assente è ogni ingerenza elettronica, per il massimo piacere di guida; ma viene scelta anche per la sua grande versatilità d'utilizzo: un fuoristrada vero dotato però di carrozzeria da utilitaria e di una abitabilità nettamente superiore ai suoi diretti concorrenti (Suzuki Jimny/Samurai), elementi che ne fanno un veicolo realmente "tuttoterreno", divertente nell'off-road quanto versatile per città e per i viaggi, e che lo rendono, nel complesso, un mezzo che ancora oggi conserva i tratti di forte originalità (se non di unicità) che contraddistinsero il progetto del lontano 1975.
curiosità :
La Lada Niva vanta una costante presenza nella Parigi-Dakar nelle edizioni tra il 1979 e il 1985, con la presenza di ben 81 equipaggi, che la collocavano al 2º posto come presenza di marchio. Tra il 1981 e il 1983 si collocò sempre ai primi tre posti in classifica assoluta, guidata dal pilota francese Jean Claude Briavoine.


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BMW SERIE 7 (E32)

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Nel 1986 la Casa di Monaco lanciò una nuova generazione di Serie 7, contraddistinta dal codice progettuale E32 ed incaricata di sostituire le ormai anziane BMW E23.
Sebbene le novità, come il controllo della trazione e i vari gadgets elettronici per gli interni, non mancassero (del resto la E32 era un'automobile completamente nuova), molti rimasero delusi dalla nuova ammiraglia. La linea era più snella e filante di quella del modello precedente, firmata da Ercole Spada ma non si poteva definire appariscente né innovativa, mentre le novità tecniche che presentava erano alla portata anche di altri modelli. Lo stesso discorso valeva per gli interni: eleganti, ben rifiniti e completi di ogni accessorio (incluso il climatizzatore automatico bizona) e automatismo (poggiatesta posteriori ad azionamento automatico e vari servomeccanismi elettrici), ma poco innovativi.
Nessuna novità, al momento del debutto, neppure per i motori, che erano i classici M30 a iniezione di 2986 cm³ (730i) o 3430 cm³ (735i), solo migliorati nella gestione elettronica. Entrambi abbinabili al cambio manuale a 5 marce o automatico a 4 (con tre programmi di funzionamento, una novità tecnica), i due motori conservavano all'incirca le potenze delle edizioni precedenti: 187 cv per il 3 litri (che tornava sul mercato) e 218cv per il 3,5 litri.
Considerate le vendite sottotono delle nuove Serie 7, la BMW decise di mettere in campo un propulsore in grado di dare quella personalità che mancava al modello. Alla fine del 1987 venne presentata la 750i, mossa da un motore V12 di 4988 cm³ (ottenuto unendo due bancate del 6 in linea di 2494 cm³ delle 325i E30) da 299cv. Disponibile sia con passo normale che con passo allungato di 10cm (750iL), la 750i, completa di ogni gadget (incluse le sospensioni pneumatiche a controllo elettronico), era, assieme alla jaguar XJ12, l'unica berlina al mondo con motore a 12 cilindri. Era disponibile solo con trasmissione automatica.
Nel 1988 venne lanciata la 735iL, con passo lungo e cambio automatico.
Nel 1992, contemporaneamente ad un moderato restyling (alcuni particolari interni ed esterni), vennero introdotti due nuovi motori V8 a 32 valvole, completamente in alluminio, di 2997 e 3982 cm³. Caratterizzati da una distribuzione bialbero su ogni bancata, i nuovi propulsori disponevano, rispettivamente, di 218 e 286cv.
Con il lancio delle 730i V8 e 740i V8 (quest'ultima disponibile anche in versione iL con passo allungato), venne tolta dal listino la 735i, mentre la 730i a 6 cilindri rimaneva come modello d'accesso. Tutte le E32 a 8 e 12 cilindri disponevano ora di un cambio automatico a 5 rapporti (in alternativa a quello manuale su 730i, 730i V8 e 740i V8, di serie su 740i L, 750i e 750i L).
Le BMW E32 uscirono di listino nel 1994, rimpiazzate dalle E38.

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MessaggioInviato: 19 maggio 2013, 14:19 
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:sisi: in occasione dei 45 anni....


CITROEN MEHARI

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La Citroën Méhari nacque nel 1968 come auto pensata per il tempo libero. Le sue origini non risalgono ad un progetto nato all'interno della Casa francese ma al momento in cui un nobile francese decise di smontare una 2CV furgoncino appartenente al suo parco auto per ricostruirla come veicolo da tempo libero. La vettura risultante piacque alla Citroën stessa la quale, dopo poco tempo, cominciò a produrla. Fu presentata il 16 maggio alla stampa, all'interno di un campo da golf, in una cittadina della Normandia. La presentazione al pubblico avvenne invece al Salone di Parigi di quello stesso 1968. Dalla 2CV ereditava sostanzialmente il pianale e la meccanica. Montava infatti il bicilindrico boxer da 602 cm³ di cilindrata. Il cambio era sempre a 4 marce ma con rapporti ridotti. La carrozzeria era realizzata in plastica ABS colorata nella massa (quindi non verniciata) posta su di un telaio in tubi d'acciaio che la rendeva un mezzo molto leggero e agile. Con la sua massa, che a secco era di soli 475 kg, la Méhari riusciva a compensare almeno in parte la modesta potenza del suo propulsore. Le prestazioni infatti, non superavano i 100 Km/h. Ma la Méhari di certo non era un'auto fatta per i grandi scatti, ma era bensì indirizzata verso tutt'altro genere di impiego.
La Méhari estremizzava il concetto di spartanità già molto evidente sulla 2CV. Si trattava di fatto di una delle auto dalla dotazione più elementare che siano mai esistite. Le portiere erano inizialmente in tela, il parabrezza era abbattibile in avanti.
Dalla fine del 1969 vi furono lievi aggiornamenti al frontale, consistenti nel ridisegnamento e riposizionamento di alcune luci di servizio, come gli indicatori di direzione frontali.
L'anno seguente, le portiere divennero parzialmente in plastica.
Nel 1978 la Méhari fu leggermente ristilizzata: il frontale aveva la calandra in plastica smontabile. Internamente montava invece la strumentazione della LNA con due quadranti circolari.
Tra il 1979 ed il 1983 ne fu messa in commercio anche una variante a quattro ruote motrici che si rivelò molto agile sui percorsi sconnessi grazie alla sua leggerezza. Rispetto alla versione a trazione anteriore, la Méhari 4x4 montava numerose modifiche tecniche, tra cui un nuovo ponte posteriore con un nuovo differenziale bloccabile. Anche il cambio era differente, avendo sette marce, di cui tre ridotte. Grazie a questa soluzione tecnica, la Méhari 4x4 era in grado di affrontare anche pendenze del 60%. In questa configurazione, il peso a vuoto della Méhari arrivava a 555 kg. La Méhari 4x4 fu addirittura utilizzata come mezzo di pronto soccorso durante i rally in Africa. Dato l'esiguo numero di esemplari prodotti, oggi la Méhari 4x4 è molto rara e molto ambita quindi dagli appassionati. Anche i pezzi di ricambio specifici sono quasi introvabili.
Nel 1983 fu introdotta una serie speciale, denominata Azur, e caratterizzata dalla livrea bianca con capote blu. Inizialmente prevista in soli 700 esemplari, fu poi messa regolarmente in listino a causa dell'alto numero di richieste.
L'ultima Méhari uscita dalle linee di montaggio è datata 30 giugno 1987.

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MessaggioInviato: 20 maggio 2013, 17:46 
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VOLKSWAGEN CORRADO

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Tutte le Corrado costruite erano degli autoveicoli con motore e trazione anteriore alimentate a benzina. Inizialmente le motorizzazioni disponibili erano 2. Il modello base era un 1.8 litri, 16 valvole, 4 cilindri in linea, aspirato con una potenza totale di 136 cv (100kw). Il modello superiore era un 1.8 litri, 8 valvole, 4 cilindri in linea, sovralimentato (con compressore volumetrico). Il compressore, a forma di G, può superare i 14.000 giri minuto e permette di erogare 160 CV (quasi 90 CV/l). Quest'ultimo modello, denominato G60, raggiunge una velocità massima di 225 Km/h ed accelera da 0–100 Km/h in 8,2".
Nel 1992 la Volkswagen introdusse 2 nuovi motori. Il motore più piccolo era il 2.0 litri, catalitico, 16 valvole, 4 cilindri in linea, aspirato da 136 CV (100 kw) che prese il posto del 1.8 litri; l'altro propulsore era l'innovativo 2.9 (2.861 cm³) litri aspirato, catalitico, (denominato VR6, che significa V-Reihenmotor, cioè V in linea), con 12 valvole, 6 cilindri a V (noto anche come "V Stretta"). Questo propulsore non ha le classiche 2 bancate, ma ha un monoblocco con pistoni inclinati tra loro di appena 15º (per effetto di questa particolarissima architettura, questo propulsore si caratterizza anche per un sound/rombo particolare), ciò rende il blocco motore leggerissimo e quasi esente da vibrazioni, di contro però genera molti attriti, tanto da causare un maggior calore e quindi necessita di una maggiore aspirazione d'aria fresca nei condotti dei cilindri. Questo propulsore è posto atipicamente in posizione anteriore trasversale. Il propulsore, che ha una testata monoblocco, sviluppa 190 CV (secondo test su banchi a rulli 193 CV) per 140 kW e circa 255 Nm di coppia massima, tutto ciò permette alla Corrado VR6, di coprire il classico 0–100 Km/h in appena 6,7" e di superare agevolmente i 240 Km/h di velocità massima (dichiarata 235 Km/h). L'auto ha una rapportatura delle marce piuttosto lunga, tanto da prediligere i viaggi in autostrada con facilità e comodità; a 130 Km/h si è appena sopra i 2800 g/min. Nel triennio 1992-1994, in Nord America quest'ultima versione (denominata SLC: Sport Luxury Coupe) fu venduta con lo stesso motore VR6 ma con step minore di cilindrata, infatti passò da 2.9 litri a 2.8 litri per soddisfare le norme restrittive anti-inquinamento americane, facendo risultare un totale di 174 CV (128 kW). La VW Karmann Corrado SLC, fu prodotta in tiratura limitata (soltanto 7.000 unità).
Sempre nello stesso anno in Inghilterra fu venduto un modello di Corrado denominato "Campaign Edition" che montava sotto il cofano il nuovo VR6 l'accensione elettronica, venne affidata ad una centralina, codice OBD 2, e non più al distributore. Gli interni erano in pelle rossa con un disegno diverso dagli altri modelli.
Questa idea dei modelli speciali non era nuova alla Corrado (si poteva chiedere di rivestire in pelle il cruscotto, con tonalità sempre a scelta). Tra il 1991 e 1992 venne commercializzato in Germania un modello denominato "jet" composta da interni su misura e motore G60. Anche in Italia fu commercializzato un modello in edizione limitata denominato "Estoril". Venne scelto questo nome perché veniva venduta con cerchi della marca Estoril. Particolarissima è anche la versione G60 modello America che si distingue per molti particolari, come ad esempio il sistema delle cinture di sicurezza elettroniche, gli interni bicolore pelle/tessuto, la doppia scala tachimetrica, il terzo stop posizionato al centro dello spoiler e le frecce direzionali anteriori incassate nel paraurti.
Nel 1995 venne prodotto un altro modello di Corrado ad edizione limitata. Il VR6 Storm, questo il nome scelto per il modello, comprendeva la griglia anteriore colorata, cerchi in lega leggera da 15" della BBS (modello Solitude) più accessori precedentemente venduti a parte (ad esempio il riscaldamento dei sedili). Di questa macchina vennero prodotti solo 500 esemplari, 250 in "Classic Green" e 250 in "Mystic Blue" (quest'ultimo disponibile solo sulla serie Storm).
A titolo di curiosità, in Italia e, più nello specifico a Roma, c'è qualche modello di Corrado G60 America, automobili appartenenti al dipartimento diplomatico USA (Ambascita d'America in Italia).
In tutti gli anni della sua produzione ebbe a disposizione 2 tipologie di cambi, uno fu un cambio manuale a 5 rapporti mentre l'altro era un automatico 4 rapporti.

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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 20 maggio 2013, 20:32 
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La Corrrado...ne ho incrociata una proprio ieri!

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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
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ROVER 75

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La Rover 75 è un'autovettura nata nel 1999 e prodotta dal Gruppo Rover fino al 2000 e dal nuovo Gruppo MG Rover fino al 2005.
La 75 venne concepita quando il Gruppo Rover era di proprietà della BMW. La vettura si collocava tra le BMW Serie 3 e Serie 5, in modo da evitare sovrapposizioni di modelli nel gruppo. Al momento dell'esordio era disponibile la sola versione berlina a 3 volumi con uno stile esterno ed interno molto British (cromature, legni, pelle). La configurazione meccanica era classica: motore trasversale, trazione anteriore, sospensioni indipendenti. La gamma di motori prevedeva un 4 cilindri 16 valvole (serie K) di 1796cm³ da 115cv, due V6 24 valvole di 2 (150cv) o 2,5 litri (177cv) e un turbodiesel 2 litri a iniezione diretta (116cv) di produzione BMW. Tre gli allestimenti disponibili: Classic, Club e Connaisseur.
Nel 2000 ne venne presentata la versione Station Wagon denominata Tourer, leggermente più lunga della berlina (+45 mm), caratterizzata dalla particolarità di poter accedere al vano bagagli anche attraverso il lunotto, apribile separatamente dal portellone. La capacità di carico raggiungeva i 1.222 dm3 con i sedili posteriori ribassati.
Nel 2002 vennero presentate le versioni marchiate MG, con estetica molto elaborata (cerchi, spoiler, prese d'aria, sedili sportivi) e motore V6 2500 potenziato a 193cv o 2000 turbodiesel portato a 136cv. Le 75 MG, disponibili sia in versione berlina che station wagon, si chiamavano MG ZT.
Nel 2004 subì un leggero restyling (fari, paraurti, dettagli di finitura interna) e la gamma dei motori a benzina cambiò: il 1800 Serie K venne dotato di turbocompressore (150cv), mentre il V6 2 litri venne tolto dal listino.
Nel 2005 venne presentata la 75 V8, mossa da un V8 di un 4,6 di origine Ford, con ben 260 cavalli di potenza. La V8, disponibile con passo standard (marchiata MG) o allungato (marchiata Rover), a differenza delle altre 75 aveva la trazione posteriore. La commercializzazione durò poco a causa del fallimento della società. Nel 2005 venne progettata una versione coupé, mai prodotta.
La produzione finì nel 2005 col fallimento di MG Rover. La licenza di costruzione dei modelli 25 e 75 è stata oggetto di una disputa tra due delle più importanti aziende automobilistiche cinesi, la Nanjing Automobile, che ha acquisito il gruppo MG Rover, e la Shanghai Automotive Industry Corporation, che per prima aveva annunciato l'intenzione di acquistare il gruppo britannico, ma che poi aveva desistito. Quest'ultima ha presentato la Lu-sheng 75, rinominata in seguito Roewe 750 (non potendo utilizzare il marchio Rover, a sua volta acquistato dalla Ford, ha presentato il suo nuovo marchio, Roewe). Anche la NAC ha espresso l'intenzione di produrre un modello basato sulla meccanica della Rover 75 con il nome di MG 7.

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ferrari f40



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La Ferrari F40 è un'auto sportiva prodotta dalla Ferrari, virtuale erede della Ferrari 288 GTO Evoluzione, costruita tra il 1987 e il 1998 (per gli ultimi esemplari "F40 GTE"), la cui erede fu la F50. Il disegno della carrozzeria è stato realizzato dallo studio Pininfarina sotto la guida di Nicola Materazzi e Pietro Camardella.
Nata per celebrare i primi quarant'anni di vita della casa automobilistica modenese, tra le altre particolarità ha quelle di essere stata la prima auto stradale nella storia Ferrari ad essere costruita con svariati materiali compositi quali il kevlar per il telaio, le fibre di vetro per la carrozzeria, resine aeronautiche per i serbatoi ed il plexiglas per i finestrini laterali e di essere stata, al momento della sua presentazione l'auto stradale più veloce mai costruita con i suoi 324 Km/h dichiarati (spesso sensibilmente superati in vari test), record poi battuto nel 1991 dalla Bugatti EB110.
L'idea di festeggiare i 40 anni di vita della Ferrari con un'auto particolare si presenta subito complessa viste le prestazioni e le caratteristiche tecniche della 288 GTO. Pertanto viene realizzata un'auto che richiami una vettura da Formula 1 dell'epoca adattata all'uso stradale. Questa Ferrari inoltre doveva dare la supremazia prestazionale al cavallino nel mercato mondiale. Ci riuscirono ampiamente, sia per i primati velocistici noti, che per comportamento stradale. Non a caso tutt'ora viene ancora considerata come la miglior auto "cruda" di sempre ed è spesso termine di paragone anche per le supercar moderne dopo un quarto di secolo.
Al momento della presentazione l'unica rivale diretta era la Porsche 959, che era stata anch'essa concepita per le competizioni in pista riservate al Gruppo B e rimase in produzione fino al 1988, mentre negli anni novanta fu messa in commercio la Jaguar XJ220, prodotta tra il 1992 e il 1994. Due anni più tardi la degna rivale dell'F40 fu la Lamborghini Diablo.
La prima presentazione ufficiale alla stampa avvenne a Maranello il 21 luglio 1987, mentre al livello internazionale la vettura debuttò al Salone dell'automobile di Francoforte sempre dello stesso anno.
Venne utilizzato il kevlar per rinforzare la scocca e la fibra di vetro per la carrozzeria. Il cofano motore (posteriore) si apre a conchiglia come sulle vetture sport prototipo e presenta un'estesa superficie trasparente in plexiglas che lascia in mostra il motore. Antesignana della F40 fu la 288 GTO Evoluzione, dall'aspetto esterno simile al modello poi deliberato ma sperimentale in molte soluzioni tecniche. Mentre il telaio in acciaio e materiali compositi era già quello definitivo, il motore di 2885 cm³ era arrivato a sprigionare anche 650 cv. La Ferrari intendeva così esplorare la robustezza del propulsore con tali potenze in gioco e la possibilità di evoluzioni per l'impiego agonistico. La F40 infatti rispondeva al cliché tecnico del Gruppo B, mai abolito ufficialmente negli allegati tecnici, ma che all'epoca non era più ammesso in nessuna competizione sanzionata dalla Federazione Internazionale dell'Automobile.
Dopo approfondite prove in pista si omologò per la produzione un V8 con qualche cm³ in più (2936, per la precisione) e parecchi cavalli in meno, per soddisfare le esigenze di trattabilità nell'uso quotidiano e soprattutto per rispettare le stingenti norme sulle emissioni. Come per la Ferrari 288 GTO, anche l'F40 fu subito oggetto di speculazioni: all'inizio il prezzo di listino venne fissato intorno a 374 milioni lire, ma sul mercato non ufficiale le vetture vennero vendute a cifre vicine ai 1,5/2 miliardi di lire.
Il numero di esemplari prodotti, pianificati inizialmente in 400, venne aumentato fino al limite invalicabile di 1.000 esemplari. Proprio nel momento in cui il valore dell'auto era all'apice però, la vettura ottenne l'omologazione negli Stati Uniti, fino ad allora negata a causa delle caratteristiche estreme della macchina. La Ferrari dovette quindi rispettare il contratto con l'importatore statunitense che obbligava la casa di Maranello a destinare il 22% della produzione di ogni modello al mercato americano. La produzione venne quindi estesa fino a portare il numero totale di F40 prodotte a 1.337 esemplari.
Il motore è un 8 cilindri a V di 90 gradi, cilindrata pari a 2936,2 cm³, alesaggio 82,0 mm corsa 69,5 mm, sovralimentato con due turbocompressori IHI che lavorano a 2,3 bar assoluti (è l'ultima auto con sovralimentazione prodotta dalla Ferrari), distribuzione a doppio albero a camme in testa per bancata, quattro valvole per cilindro con due iniettori per cilindro. La potenza massima erogata è di 478 CV (352 Kw) a 7000 giri/min, coppia massima 577 Nm a 4000 giri/min. Il rapporto di compressione è di 7,7:1. Il cambio è manuale a 5 marce, più retromarcia, con frizione bidisco a secco e montato longitudinalmente.
Berlinetta 2 posti, telaio a traliccio tubolare in acciaio con vasca abitacolo e pannelli di rinforzo in compositi. Uguale materiale per la carrozzeria dal peso totale di 46 kg. Le sospensioni anteriori e posteriori sono indipendenti, con bracci trasversali molle elicoidali e barra stabilizzatrice. Esse inoltre, grazie ad ammortizzatori oleopneumatici che possono essere regolati dall'abitacolo, sono regolabili su tre settaggi differenti in altezza da terra e rigidità, a seconda dello stile di guida e delle condizioni di esercizio. Il passo è di 2.450 mm, la carreggiata anteriore di 1.594 mm e quella posteriore di 1.606 mm. Sterzo a cremagliera. Il peso totale è di 1155 kg.


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JAGUAR XJR-15

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Sul finire degli anni ottanta, Tom Walkinshaw aveva intuito l'aumentare della domanda potenziale per automobili esotiche e costose. Molti facoltosi clienti desideravano acquistare le vincenti Jaguar di Gruppo C che venivano realizzate dalla struttura della TWR (legata da un sodalizio sportivo con Jaguar), e altre vetture esclusive come la Ferrari F40 e Porsche 959 avevano trovato un florido mercato. Walkinshaw decise quindi di realizzare una vettura con marchio Jaguar omologata per uso stradale ad elevate prestazioni, ma dalle caratteristiche tecniche simili ad una vettura da competizione e tal fine la TWR attinse diversi particolari meccanici e soluzioni tecniche direttamente dalla gloriosa Jaguar XJR-9, vincitrice del Campionato del Mondo Sport Prototipi. Dal motore al cambio, come del resto anche le sospensioni e molti altri particolari derivano dalla vettura da gara.
Il progetto della Jaguar XJR-15 portato avanti dalla TWR, creò una sorta di un problema politico perché nello stesso periodo anche la Jaguar stava lavorando ad una propria supercar stradale, la Jaguar XJ220. Per differenziare le due automobili, la XJR-15 divenne un prodotto della società joint-venture di proprietà di Jaguar e TWR denominata Jaguar Sport. Per ragioni di marketing, cosi da distinguere ulteriormente le automobili, la XJ220 veniva venduta come una vettura stradale, mentre la XJR-15 veniva venduta come una macchina da corsa (ma omologata per uso stradale) e i suoi acquirenti dovevano necessariamente iscriversi e partecipare ad uno speciale monomarca denominato Jaguar Sport Million Dollar Intercontinental Challenge, disputato su tre prove come gare di contorno ai Gran Premi di Formula 1 1991 di Monte Carlo, Silverstone e Spa-Francorchamps. Le automobili potevano essere guidate dai rispettivi proprietari, tuttavia molti di essi preferivano affidare i loro bolidi a piloti professionisti del calibro di Derek Warwick, David Brabham, John Nielsen e Juan Manuel Fangio II. Ai vincitori dei primi due appuntamenti spettava una coupé Jaguar XJR-S con motore di 6 litri, mentre il vincitore del round finale si aggiudicava un premio di un milione di dollari.
La vettura è mossa da un motore V12 con angolo tra le bancate di 60°, realizzato in alluminio, ha una cilindrata di 5.993 cm³, è a ciclo Otto con distribuzione a 2 valvole per cilindro, l'alimentazione è atmosferica, è in grado di sviluppare una potenza massima di 456 CV (335,6 kW) e una coppia motrice di 569 N m, trasmessi alle ruote motrici posteriori tramite un cambio a 6 marce manuale privo di sincronizzatore (una trasmissione a 5 velocità sincronizzate era disponibile solo come optional). Nella XJR-15, il telaio e la carrozzeria sono realizzati in fibra di carbonio e Kevlar.

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LOTUS SEVEN

Lotus Seven S3
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Caterham 7
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Il vulcanico patron della piccola factory inglese, Colin Chapman, concepì l'idea di produrre un'autovettura sportiva più economica delle raffinate barchette Eleven. La vettura doveva offrire la massima sportività, puntando sulla leggerezza e sull'essenzialità; una sorta di "motocicletta a quattro ruote" da vendere in scatola di montaggio (per evitare la tassa d'acquisto).
Partendo dal telaio tubolare in alluminio della Eleven, venne realizzata una roadster con ruote scoperte (o meglio coperte da piccoli parafanghi di stampo motociclistico), priva di tettuccio e con carrozzeria costituita da pannelli d'alluminio, tranne il musetto bombato, completamente piani (per ridurre i costi). Con la sola eccezione delle raffinate sospensioni anteriori (a ruote indipendenti con doppi bracci triangolari), la meccanica era assemblata con pezzi di grande serie: cambio (manuale a 4 rapporti) BMC, freni (tutti a tamburo) Ford e ponte posteriore (ad assale rigido con balestre longitudinali) proveniente dalla Nash Metropolitan (allora assemblata anche in Inghilterra dalla BMC).
Il motore poteva, infine, essere scelto tra il 4 cilindri in linea con albero a camme laterale Ford 100E di 1172cm³ da 36cv, il BMC A series (sempre a 4 cilindri in linea e distribuzione monoalbero laterale) di 948 cm³ da 39 CV ed il raffinato bialbero Coventry Climax FWA di 1098 cm³ da 75 CV.
La commercializzazione delle Seven, sia in versione assemblata che in kit di montaggio, iniziò nel 1957. La variante con motore Coventry Climax, era denominata Super Seven. Grazie al peso estremamente ridotto (406 kg), la Seven era agile e divertente persino col fiacco motore Ford, mentre la Super Seven, grazie al rapporto di 5,3 kg/ CV, era un'autentica sportiva.
Nel 1960 venne lanciata la versione S2. All'esterno cambiarono solo i parafanghi (più avvolgenti) e, al pari del musetto, in vetroresina, mentre a livello tecnico le novità maggiori riguardano i motori. Cancellato il costoso (e scorbutico nella messa a punto) Coventry Climax FWA, vennero resi disponibili nuovi motori Ford.
Sulla Seven potevano essere montati il 105E di 997 cm³ da 39 CV o il 116E di 1498 cm³ da 66 CV, mentre per Super Seven erano disponibili le versioni elaborate dalla Cosworth del 109E (1340 cm³, 85 CV) e del 116E (1498 cm³, 95 CV). Sulle versioni più potenti erano montati freni anteriori a disco.
Nel 1968 venne lanciata la S3 (che è la versione ancora oggi prodotta da vari costruttori), con retrotreno (sempre a ponte rigido) e motore (1601 cm³ da 86 CV) della Ford Escort Mexico. Nel 1969 la Super Seven adottò il nuovo 4 cilindri in linea bialbero Lotus di 1558 cm³ da 115 CV.
Nonostante la vettura avesse ancora una nutrita schiera di appassionati, Colin Chapman non la riteneva più degna di portare il marchio Lotus, che nel frattempo aveva vinto 3 Campionati del Mondo di Formula 1. La Seven, oltretutto, non era neppure un'auto profittevole per la Casa (che anzi perdeva 100 sterline per ogni S3 prodotta). Tuttavia, grazie alla determinazione dell'amministratore delegato Mike Warner, venne messa in cantiere un'ulteriore evoluzione del modello. L'obiettivo era quello di rendere profittevole la roadster Lotus, riducendo i costi e innalzando la produzione ad almeno 2000 unità all'anno.
Le modifiche a telaio e carrozzeria furono sostanziali. La carrozzeria divenne completamente in vetroresina (e più larga e lunga), il telaio venne opportunamente rinforzato, i parafanghi anteriori vennero allungati fino all'abitacolo, la coda (più squadrata e massiccia e con parafanghi integrati) venne completamente ridisegnata, mentre l'abitacolo guadagnò spazio.
Per la prima volta la Seven aveva un vero e proprio parabrezza e poteva essere equipaggiata con un tetto rigido (asportabile) in vetroresina. La S4 (che conservava i motori della S3), tuttavia, non riscosse il successo sperato: troppo spartana per la clientela delle spyder tradizionali e troppo "civile" per i puristi. La produzione, iniziata nel 1970, cessò all'inizio del 1973, dopo appena 664 esemplari.
Quando la produzione della Lotus Seven cessò la Caterham Cars, distributore ufficiale del modello sin dal 1967, acquisì (giugno 1973) i diritti di produzione del modello da Chapman. I primi quaranta esemplari vennero assemblati, nel corso del 1973, con avanzi di magazzino, ed erano giocoforza delle S4, ma a partire dal 1974, la piccola casa inglese tornò a produrre solo la rimpianta S3, ancora oggi in listino. Nel corso degli anni le Caterham Seven e Super Seven hanno adottato diversi motori (Ford, Ford-Cosworth, Opel, MG Rover) e varie migliorie tecniche (cambi a 6 marce, sospensioni riviste con ponti de Dion o come sulla CSR con sospensioni completamente indipendenti, freni potenziati).

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renault clio v6




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Progettata dallla francese Renault,i modelli di Fase 1 sono stati costruiti da Tom Walkinshaw racing e fase 2 dalla Renault Sport di Dieppe.Il motore centrale , wide-body concept della Clio V6 ricorda molto la 5 turbo del 1980.
La Clio V6 è basata sulla Clio Mk II, Il 3.0 V6, proveniente dal gruppo PSA (ES9J, lo stesso utilizzato nella Peugeot 406, 407, e la Citroen C 5), anche sulla Laguna. È stato aggiornato a circa 230 CV (169 kW 227 CV) e posta al centro del veicolo in cui le clio più ordinarie hanno i sedili posteriori - rendendo questa vettura un forno a due posti. La Clio V6 era facelifted nel 2003 per assomigliare la Clio Mk II Fase 2, ed è stato ampiamente rielaborato dopo le seguenti critiche di gestione di quella originale Clio V6 (soprattutto sul bagnato). Il nuovo veicolo ha avuto un upgrade 255 CV (188 kW, 252 CV), V6, ma anche molto di più sottosterzo rispetto alla fase 1.
Al fine di accogliere il cambiamento radicale dal motore anteriore, trazione anteriore berlina a motore centrale, trazione posteriore a due posti quasi-coupé, la vettura doveva essere ampiamente rielaborata strutturalmente, che porta alla Fase 1 300 kg in più della Clio "normale". A causa di questo, anche se il modello V6 aveva molta più potenza, non era notevolmente più veloce rispetto alla Cup 172 - accelerava a 60 mph (97 Km / h) in 6,2 secondi rispetto alla Cup 6,7 secondi - anche se la sua velocità massima era significativamente più alta. La Clio V6 fase 2 ha guadagnato ancora più peso, ma compensata con ancora più potenza con una conseguente riduzione del 0-60 mph in 5,9 secondi e 246 Km / h di velocità massima.
Al momento del suo lancio nel 2003, la Fase era il più potente di serie prodotta nel mondo, con 255 CV (190 kW), superando l' Alfa Romeo 147 GTA (250 PS (184 kW, 247 CV) ) e la SEAT Leon Cupra R (225 CV (165 kW, 222 CV)). Basato sul motore di fase 1, la sua performance migliore è stata aiutata con l'assistenza di Porsche .
Anche sulla base di una berlina utilitaria, la Clio V6 non è una vettura pratica per la famiglia. Con un consumo medio di 12 L/100 Km. La perdita dei sedili posteriori e la maggior parte dello spazio bagagliaio, a causa del posizionamento del motore, in una restrizione grave nel bagagliaio - c'è solo un piccolo spazio di fronte,e una piccola area dietro i sedili e sotto il portellone.
l'Equipaggiamento di serie comprendeva sensore pioggia tergicristalli, fari automatici, aria condizionata, e sei altoparlanti e CD-Changer.
Fase 1: 2946 cc ES9J4 V6 a benzina, 24 valvole, 230 CV (169 kW, 227 CV)
Fase 2: 2946 cc ES9J4 V6 a benzina, 24 valvole, 255 CV (188 kW 252 CV)


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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 30 maggio 2013, 16:35 
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FIAT RITMO

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Dopo una lunga progettazione il lavoro finale viene presentato per la prima volta al pubblico durante il Salone dell’Automobile di Torino del 1978 con il nome di Fiat Ritmo. Inizialmente la vettura, disponibile sia nella variante a tre porte sia in quella a cinque, è offerta in due allestimenti (L e CL) e tre differenti versioni: Ritmo 60, Ritmo 65 e Ritmo 75.
A livello meccanico la vettura adotta un’impostazione già collaudata da modelli precedenti con trazione anteriore, sospensioni a ruote indipendenti MacPherson all’avantreno, balestrone trasversale al retrotreno e impianto frenante di tipo misto. Le prime novità arrivano a un anno dalla commercializzazione, nel ’79, e riguardano l’introduzione della 65 5p CL Automatica e della versione speciale Targa Oro. La gamma si amplia ulteriormente nel 1980 grazie al debutto della Ritmo D, mossa da un’unità a gasolio di 1714 cm3 con una potenza di 55 CV.
Sempre nell’80 vengono rivisti alcuni elementi stilistici del modello mentre l’anno seguente le versioni Targa Oro e 75 lasciano il loro posto alle Super 75 e Super 85. Quest’ultime sono equipaggiate rispettivamente con un propulsore di 1301 cm3 da 75 cavalli e un 1498 cm3 da 85 cavalli. Il 1981 è caratterizzato inoltre per la nascita delle Fiat Ritmo 105 TC e Ritmo Cabrio. La prima è caratterizzata da un particolare look volto ad esaltare l’animo sportivo mentre la seconda, realizzata da Bertone sulla base della 85 Super, si contraddistingue per un design di forte personalità. Nel 1982 arriva un ulteriore, lieve, rivisitazione del look oltre a un nuovo modello: la Fiat Ritmo 125 TC Abarth. L’auto preparata dall’equipe dello Scorpione si basa sulla 105 TC, è disponibile nella solo variante di carrozzeria a tre porte e dal suo 1995 cm3 scaturisce 125 cavalli.
Nel 1982 in seguito a un marcato restyling debutta la seconda generazione della Ritmo. Le variazioni estetiche non sono molte mentre le novità di maggior rilievo avvengono “sottopelle”: telaio aggiornato, serbatoio spostato sotto al sedile posteriore (prima era alloggiato sotto al bagagliaio), bocchettone di rifornimento spostato dal parafango sinistro a quello destro e una riduzione del peso rispetto alla precedente versione. I propulsori 1.3 da 65 e 75 CV vengono inoltre unificati in un’unica variante da 68 CV mentre il 1.7 diesel guadagna qualche cavallo di potenza. Gli allestimenti disponibili, oltre al 105 TC, rimangono il base e l’S. La gamma della Ritmo seconda serie è completata nel 1983 con l’introduzione delle versioni Energy Saving e Abarth 130 TC. Due anni più tardi, nel 1985, viene presentata la versione speciale IN (basata sulla 60 S) e la 105 TC è sostituita dalla 100 S a cinque porte.
Avvengono inoltre importanti novità per i motori a gasolio: il vecchio 1714 cm3 esce di scena in favore di una nuova unità da 1697 cm3 in grado di sviluppare 60 cavalli. A tutto ciò si deve aggiungere l’arrivo dell’inedita versione Turbo DS, spinta da un quattro cilindri turbodiesel con intercooler di 1929 cm3 con una potenza di 80 CV. In contemporanea sono tolte dalla gamma le Energy Saving e le 85S mentre la Cabrio 85S è sostituita dalla Supercabrio 100 S. Dulcis in fundo nel 1986, prima di concludere la propria carriera, l’italiana viene proposta in due versioni speciali in edizione limitata: la Fiat Ritmo Team e la Fiat Ritmo Super Team. Nel 1988 cessa definitivamente la produzione della Ritmo, sostituita dalla Fiat Tipo.

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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
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Io ho preso la patente nell'84 su una ritmo D cl...... e mi piaceva pure tanto :D

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....se non sbaglio la prima (o una delle primissime) auto con i paraurti in plastica....

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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
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se non ricordo male la prima con i fascioni paraurti al posto delle classiche lame paraurti fu la renault 5

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