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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 4 luglio 2013, 15:48 
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clod ha scritto:
E' proprio la più bella degli anni trenta......... a ruota (II° posto) metterei l'alfa romeo
poi anni cinquanta ovviamente la Citroen DS poi ..........

saluti clod

..........e poi la mia ..... :D :D :D


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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 5 luglio 2013, 15:41 
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VOLSWAGEN W12

Questa automobile, messa in cantiere nel 1997, ha una storia abbastanza breve rispetto agli standard di sviluppo di vetture analoghe. Nel caso della W12, il tutto si è concretizzato nel giro di quattro anni, un periodo abbastanza breve, soprattutto in relazione alla complessità del progetto, molto ambizioso, caratterizzato da soluzioni tecniche raffinate e fuori dagli schemi abituali.
Da considerare anche il fatto che all'epoca la Volkswagen, nota come auto del popolo, non disponeva del know-how necessario per realizzare una vettura così prestazionale ed esclusiva. Fino ad allora infatti la Volkswagen operava in segmenti di mercato molto meno elitari, e si trovava a gestire marchi come Audi, che era riuscita a riportare in auge dopo anni di oblio, ma che non aveva ancora un posizionamento premium, e come SEAT e Škoda, che al tempo non godevano di buona fama tra gli automobilisti, sia in termini di affidabilità che di comfort e prestazioni. La W12 aveva quindi lo scopo di far acquisire alla casa tedesca l'esperienza necessaria nel settore delle automobili supersportive di lusso, dato che la Volkswagen proprio in quegli anni si stava apprestando ad assorbire marchi come Bugatti, Bentley e Lamborghini.

1997: W12 Syncro
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Nel 1997 nasce il primo prototipo della stirpe W12, denominato W12 Syncro (noto anche come W12 Syncro Coupé), che venne presentato al salone di Tokyo, con una sgargiante colorazione gialla. Come si evince dal nome, l'auto era spinta da un motore a W da 5.600 cm³, in cui i cilindri sono alloggiati in quattro bancate disposte a coppie come due motori a V, affiancati in un unico monoblocco; l'unità poteva erogare 420 CV.
La trazione era a quattro ruote motrici, mentre il disegno della carrozzeria venne affidato da Ferdinand Piëch alla Italdesign di Giorgetto Giugiaro (che poi curerà lo stile anche di tutte le evoluzione future del prototipo).

1998: W12 Roadster
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La W12 Syncro venne molto apprezzata, tanto che nel 1998, in occasione del salone di Ginevra, la Volkswagen ne realizzò un modello scoperto, denominato W12 Roadster.
A parte l'assenza del tetto, il resto della macchina rimase invariato, tranne il colore della carrozzeria, in questo caso rosso, ed il tipo di trasmissione, che non era più integrale, bensì posteriore. L'auto aveva un'accelerazione da 0 a 100 Km/h pari a 4 secondi.

2001: W12 Coupé/Nardò
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Nel 2001 il prototipo W12, dopo essere stato profondamente rivisto dal punto di vista meccanico, venne nuovamente riproposto al salone di Tokyo come W12 Coupé, con una caratteristica colorazione arancione. Questa versione si rifaceva alla W12 Syncro del 1997, ma disponeva di un motore più prestante; anche se identico nell'architettura, la cilindrata passò da 5,6 a 6 litri. In quell'occasione, venne dichiarata una potenza massima di 512 CV e una coppia massima di 621 Nm, e un peso totale di 1.200 kg. Valori che, secondo la Volkswagen, le consentivano di accelerare da 0 a 100 Km/h in circa 3,5 secondi, mentre la massima velocità a cui poteva arrivare, veniva stimata in 350 Km/h.
Dopo i record mondiali di velocità stabiliti dalla W12 Coupé sulla pista di Nardò, l'auto venne ribattezzata e divenne nota semplicemente come W12 Nardò.

2002: W12 Record
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Nel 2002 venne preparata una versione estrema della W12 Nardò, denominata W12 Record, con carrozzeria nera e telaio entrambi in fibra di carbonio, ed un nuovo motore dal peso contenuto di soli 239 kg. Nonostante l'obiettivo della casa fosse quello di utilizzare la vettura sulla pista di Nardò esclusivamente per analizzare e testare la robustezza di telaio e meccanica, e l'affidabilità del motore 12 cilindri, la W12 Record riuscì a battere tutti i record di velocità stabiliti dalla Nardò pochi mesi prima.
A questo punto, nonostante l'entrata in produzione della W12 fosse fattibile, i vertici dell'azienda non diedero il consenso per portare avanti il progetto. Il gruppo automobilistico tedesco nel frattempo aveva infatti portato a termine l'acquisizione dei marchi premium Bugatti, Bentley e Lamborghini, tanto che su alcune vetture proposte da queste case sarebbero poi stati montati alcuni organi meccanici ripresi dalla W12. Inoltre, una valutazione di marketing ritenne poco opportuno produrre una supercar con un marchio generalista come quello Volkswagen, decidendo così di riservare la fascia di mercato per le vetture sportive ad alte prestazioni ai premium brand del gruppo.

Record mondiali su pista
La Volkswagen utilizzò prima la W12 Nardò e poi la W12 Record per conseguire vari primati mondiali di velocità su pista. Le vetture vennero affidate a piloti quali Mauro Baldi, Emanuele Naspetti e Giorgio Sanna, che la guidarono sul circuito leccese di Nardò.
Durante il primo tentativo, il 14 ottobre 2001, la W12 Nardò riuscì a battere dieci record mondiali di velocità. In 24 ore percorse oltre 7.000 chilometri, alla velocità media di 295,24 Km/h. Inoltre ottenne il record sulla distanza di 5.000 chilometri, con una media di 295,44 Km/h, e il record sulle 5.000 miglia, alla media di 291,8 Km/h. Per quanto riguarda le prestazioni assolute, superò i 350 Km/h.
Il 23 febbraio 2002, la W12 Record venne impiegata in una serie di test di durata e di velocità sempre sul circuito di Nardò, migliorando ulteriormente tutti i record stabiliti pochi mesi prima dalla Nardò, e realizzando nel totali 12 nuovi record del mondo.
Attualmente, nell'ambito dei record di velocità disciplinati dalla FIA, la W12 detiene 7 primati assoluti:

500 miglia, distanza percorsa ad una media di 327,389 Km/h;
1.000 miglia, distanza percorsa ad una media di 325,862 Km/h;
5.000 Km, distanza percorsa ad una media di 324,850 Km/h;
5.000 miglia, distanza percorsa ad una media di 323,037 Km/h;
6 ore, tempo coperto ad una media di 325,584 Km/h;
12 ore, tempo coperto ad una media di 324,876 Km/h;
24 ore, tempo coperto ad una media di 322,891 Km/h.

Nella prova di 24 ore, coprì una distanza di 7.749,384 Km.

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Marco - DS3 1.6 THP Sport Chic

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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 11 luglio 2013, 14:12 
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BMW ZAGATO COUPE' e ROADSTER

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La concept è frutto della collaborazione tra la casa automobilistica tedesca BMW ed il carrozziere italiana Zagato. Anche se questa è la prima collaborazione tra le due realtà, la vettura riannoda in qualche modo lo storico legame tra BMW e la famiglia Rivolta (Marella Rivolta, moglie di Andrea Zagato, si è occupata delle finiture e dei colori) risalente al 1954, quando i tedeschi acquisirono dalla Iso di Enzo Rivolta i brevetti per la realizzazione su licenza dell'Isetta.
Base di partenza per questa concept è stata la meccanica e la tecnologia della Z4, sopra cui i designer di BMW e Zagato hanno creato la nuova carrozzeria. Adrian van Hooydonk, Senior Vice-President di BMW Group Design, e Norihiko Harada, Chief Designer di Zagato, erano amici da molto tempo, e quando Andrea Zagato ha proposto una collaborazione tra le due aziende, il progetto è andato in porto in tempi relativamente brevi.
In fase di progettazione, sia BMW che Zagato hanno ben presto condiviso la filosofia di adottare un approccio quanto più legato alla realtà, motivo per cui è nata una concept car molto vicina alla produzione di serie. Infatti, nonostante sia una concept in esemplare unico, la BMW Zagato Coupé è immatricolata per l'utilizzo stradale, soddisfando i requisiti di legge in tutto il mondo.
La vettura è una coupé due porte e due posti. Il design scaturito dalla collaborazione è in pratica un grande trait d'union tra gli stilemi della casa bavarese e la storia dell'atelier italiano.
La derivazione dalla Z4 è tradita dalle proporzioni generali della vettura, in particolare dal lungo cofano e dalla posizione arretrata dell'abitacolo. Le caratteristiche "gobbe" (double bubble roof) sul tetto e la coda tronca lasciano invece trapelare l'impronta italiana. Il frontale è la parte della vettura che meglio rappresenta questo legame italo-tedesco: il classico "doppio rene" di matrice BMW (ovvero la griglia sdoppiata del radiatore, simbolo delle vetture bavaresi) è qui leggermente inclinato verso l'asfalto, ed è stato impreziosito da Zagato con piccoli fregi cromati a forma di "Z" a loro volta contornati da altre piccolissime "Z" scure disposte in ottagoni, il tutto ispirato alle forme geodetiche dell'architetto e designer Richard Buckminster Fuller. Le altre prese d'aria anteriori sono decorate con griglie a motivi esagonali, figura geometrica da sempre ricorrente nelle realizzazioni del carrozziere italiano. Completano lo stile esterno i cerchi in lega a cinque razze da 19 pollici, mentre la carrozzeria è colorata in un esclusivo Rosso Vivace, ottenuto con una particolare lavorazione che prevede una base di nero, un primo strato di argento metallizzato, sei strati di rosso e due strati finali di vernice trasparente.
Il posteriore è invece dominato dalla grande coda tagliata quasi verticalmente, soluzione stilistica ed aerodinamica che permette la rinuncia all'installazione di un'ala fissa o mobile. Altro richiamo alla tradizione Zagato è palese nel "passaggio incrociato" di linee tra i finestrini laterali ed il lunotto. Alle estremità del diffusore, inglobati in esso, trovano alloggio gli scarichi.
Gli interni non si discostano molto da quelli delle sportive dell'elica, ma in questo caso sono realizzati artigianalmente dall'atelier italiano, dove spiccano una lunga "striscia orizzontale" rossa che ricorre simbolicamente lungo tutto l'abitacolo, in contrasto coi toni dominanti nero-grigio, e le lettere "Z" cucite sui poggiatesta dei sedili.

ROADSTER
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Nell'agosto 2012 è stata presentata al Concorso d'eleganza di Pebble Beach la versione roadster della concept, denominata BMW Zagato Roadster. Questa nuova concept, realizzata dall'atelier milanese in sole sei settimane di lavoro, riprende gran parte delle linee della Coupé, mescolando il gusto del design italiano con quello delle vetture scoperte d'oltreoceano.
Disegnata anch'essa da Norihiko Harada, la vettura si fa notare per l'assenza del tetto e del lunotto posteriore, soluzione che le dà una linea più bassa e filante della Coupé, e per la presenza di due particolari roll-bar (posti dietri ai poggiatesta) protesi in avanti – con un disegno quasi alare – e rivestiti di pelle marrone (materiale che ricorre anche nell'abitacolo). Le originali "doppie gobbe", stilema distintivo delle vetture Zagato, sono qui state reinterpetate, estendendosi dai roll-bar fino al termine del cofano posteriore. La Roadster presenta anche dei nuovi cerchi in lega a cinque razze, queste ultime realizzate in modo da ricordare il profilo di un'elica, scelta stilistica cha va a richiamare i trascorsi comuni nel settore aeronautico di BMW e Zagato.

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Marco - DS3 1.6 THP Sport Chic

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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
MessaggioInviato: 15 luglio 2013, 17:58 
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DeLOREAN DMC-12

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William T. Collins, primo ingegnere e disegnatore, già capo ingegnere alla Pontiac, completò il primo prototipo della DeLorean DMC-12 nell'ottobre del 1976.
Originariamente era stato previsto di montare sul retro della macchina un motore rotativo Wankel, ma per risparmiare sul carburante in un periodo di scarsità mondiale di petrolio si dovette optare per un V-6 Douvrin PRV a iniezione.
Collins e DeLorean avevano previsto uno chassis prodotto da una nuova e non collaudata tecnologia produttiva conosciuta come ERM (Elastic Reservoir Moulding), che avrebbe migliorato le caratteristiche di peso abbassando presumibilmente i costi di produzione. Questa nuova tecnologia, per la quale DeLorean aveva acquisito i diritti del brevetto, si rivelò però non adatta per la produzione di massa.
Questi e altri cambiamenti al concetto originale dovettero essere introdotti per rispettare le scadenze.
Si rese necessaria una revisione ingegneristica del processo produttivo quasi completa, che fu affidata all'ingegnere Colin Chapman, fondatore e proprietario della Lotus.
Chapman sostituì molto del materiale dubbio e delle tecniche di produzione con quelle che erano correntemente utilizzate dalla Lotus; nello specifico, nella DMC-12 furono utilizzate la sospensione e lo chassis dalla Lotus Esprit.
L'originale progetto della carrozzeria - un'idea di Giorgetto Giugiaro, che aveva disegnato anche la Lotus Esprit qualche anno prima - venne lasciato quasi intatto, come pure la superficie esterna in acciaio inossidabile e le porte ad ala di gabbiano.
Lo stabilimento di produzione venne stabilito a Dunmurry, in Irlanda del Nord, a poche miglia da Belfast. La costruzione della fabbrica iniziò nell'ottobre 1978, ma problemi ingegneristici e di finanziamento consentirono di iniziare la produzione in serie solo nel 1981, con due anni di ritardo rispetto alle previsioni. Il personale addetto era anche largamente inesperto e le DMC-12 del 1981 vennero vendute senza garanzia. Questi problemi di gioventù vennero risolti a partire dal 1982, anno in cui i nuovi modelli erano dotati di una garanzia di 5 anni o 50 000 miglia (80 000 Km).
Quando nell'ottobre 1982 la DeLorean Motor Company fu sciolta in seguito all'arresto di John DeLorean per traffico di droga (accuse da cui fu assolto due anni dopo), le DMC-12 non ancora assemblate furono completate dalla Consolidates (ora parte di KAPAC).
Nel luglio 2007 i proprietari di una società chiamata DeLorean Motor Company (omonima della società originaria, ma non direttamente ad essa collegata) hanno acquisito le proprietà intellettuali dell'automobile e hanno rimesso in produzione la DeLorean DMC-12. I primi esemplari sono stati resi disponibili verso la fine del 2008 e la produzione è attualmente di circa 20 esemplari all'anno.

Costruzione

La DMC-12 possiede numerosi dettagli costruttivi inusuali, tra i quali spiccano le porte ad ala di gabbiano e la carrozzeria in acciaio inox non verniciato.

Carrozzeria
La carrozzeria della DMC-12 era stata disegnata da Giorgetto Giugiaro in acciaio inossidabile SS304. Eccettuate tre macchine ricoperte in oro zecchino, tutte le DMC-12 lasciarono le officine non coperte da vernice o altri rivestimenti. In effetti esistono DeLorean dipinte, ma furono verniciate qualche tempo dopo l'uscita dalla fabbrica. Molte centinaia di "auto nere", ovvero DMC-12 carrozzate in fibra di vetro, furono prodotte per istruire le maestranze, ma non furono mai commercializzate.
La DeLorean appare come una vettura di lusso, ma di efficace manutenzione: pare che piccoli segni sulle superfici dei pannelli in acciaio inossidabile possano, a quanto si dice, essere rimossi con un panno per pulizia.
I pannelli in acciaio inox erano fissati ad un monoblocco in fibra di vetro rinforzata, a sua volta fissato ad un telaio a doppia Y ripreso dalla Lotus Esprit.
Le pesanti porte ad ala di gabbiano della DMC-12 meritano un capitolo a parte. L'ovvio problema del loro corretto sostegno rispetto al resto della carrozzeria fu risolto dalla DeLorean con l'uso di barre di torsione predisposte criogenicamente e caricate a gas; questo infatti evitava l'insorgere di problemi di comodità, come negli anni seguenti si sono avuti sulla Mercedes-Benz 300SL o sulla Bricklin SV-1. Le barre di torsione furono costruite dalla Grumman Aerospace ed è grazie ad esse che le porte fuoriescono dalla sagoma di soli 11 pollici (27,94 cm) rendendo relativamente facile aprire e chiudere l'auto anche in parcheggi affollati. Esattamente come per la Lamborghini Countach, le porte della DMC-12 usano finestrini piccoli, in quanto quelli di dimensioni normali non si potrebbero aprire completamente a causa del pannello corto.

Motore e trazione
La DMC-12 è azionata da un PRV V6, motore sviluppato in sinergia da Peugeot, Renault e Volvo. Esso deriva dal motore Volvo B28F, innestato con il sistema di iniezione Bosch K-Jetronic e modificato per essere montato al contrario.
Il PRV6 ha un angolo della V a 90°, 2,85 litri di cilindrata (alesaggio 91 mm, corsa 73 mm) e un rapporto di compressione di 8,8:1. Il monoblocco e la testata sono in lega leggera e il motore ha un singolo albero a camme. Da nuovo, questo motore è capace di erogare 95 kW (130 hp) a 5.500 giri al minuto e 208 N·m di coppia a 2 750 giri.
Il consumo indicato previsto era di 19 mpg (miglia per gallone US), pari a 8 Km/l; test non ufficiali hanno confermato tali dati.
Per la DMC-12 erano disponibili due cambi: un cambio automatico a tre marce e un cambio manuale a 5 marce con un rapporto finale di 3.44:1. La maggior parte delle vetture venne fornita di cambio manuale, che era quello già montato sulla Renault 30.
Il motore della DMC-12 è montato dietro l'asse posteriore, come nel Volkswagen Maggiolino e nella Porsche 911. Il gruppo differenziale-trasmissione, invece, è posto davanti fra i due assi.

Sospensioni
Come già menzionato la sottoscocca e le sospensioni della DMC-12 erano in buona parte basate sulla Lotus Esprit. La DMC-12 era dotata di quattro sospensioni indipendenti a quadrilatero sull'asse anteriore e di un sistema multilink su quello posteriore. Le sospensioni di tutte e quattro le ruote avevano molle a spirale e ammortizzatori telescopici.
La DMC-12 prevedeva un impianto frenante servoassistito con dischi da 254 mm sull'anteriore e 267 mm sul posteriore.
Il sistema di sterzatura prevedeva 2,65 giri del volante da un estremo all'altro della corsa e l'auto riusciva a girare su sé stessa in 35 piedi di diametro sterzata.
La DMC-12 era dotata in origine di cerchioni in lega leggera da 14" (356 mm) di diametro sull'avantreno e da 15" (381 mm) sul retrotreno, equipaggiati da pneumatici Goodyear NCT radiali.
Dato che il motore era montato molto indietro sul telaio, la distribuzione dei pesi era divisa 35%/65% davanti/dietro.

Prestazioni
Stando alle informazioni comparative fornite dalla DeLorean stessa, la DMC-12 impiegherebbe 8,8 s da 0-60 mph (0-96,56 Km/h); la rivista Road & Track ha però cronometrato 10,5 s, commentando che l'auto non fosse un granché eccitante (not a barn burner).
Confronti fatti all'epoca dalla DeLorean piazzerebbero la DMC-12 come la quintultima in ordine di velocità in una serie di dieci auto sportive.
Proprietari di DMC-12 sostengono che l'auto possa accelerare da 0-60 mph in meno di 8 s, ma non è tuttavia chiaro se questo sia possibile con il modello strettamente di serie.

Curiosità
La più famosa DMC-12 mai costruita è stata quella utilizzata nella trilogia Ritorno al futuro. Questa DeLorean è stata modificata dopo l'acquisto con il proposito di farla sembrare una macchina del tempo. Per il primo film, Ritorno al futuro, sono state utilizzate dodici auto.
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DMC-12 placcate in oro
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DeLorean aveva previsto di produrre un centinaio di DMC-12 placcate in oro a 24 carati, promuovendo questi veicoli tramite l'American Express. Tuttavia, ne vennero ordinati solo due modelli:

una di queste auto venne acquistata da Roger Mize, presidente della Snyder National Bank, che avrebbe pagato 85 000 dollari per l'auto, che rimase esposta nell'entrata della banca per circa 20 anni prima di essere caricata al Petersen Automotive Museum di Los Angeles;
la seconda DMC-12 placcata in oro è attualmente in mostra al National Auto Museum di Reno, in Nevada, ed è la sola delle tre auto dorate prodotte ad avere un cambio manuale;
esiste una terza auto placcata in oro che porta la targhetta VIN per l'ultima produzione DeLorean, numerata 20105; quest'auto venne costruita in larga parte con parti che erano avanzate dall'assemblaggio delle altre due DeLorean dorate. Erano a disposizione tutte le parti con l'eccezione di una porta, per cui fu necessario far placcare un'altra porta perché l'auto potesse essere terminata, e il colore e la granatura di quella porta sono differenti rispetto al resto dell'auto.

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LANCIA BETA MONTECARLO

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Nel 1975, su design Pininfarina, venne lanciata la "Beta Montecarlo", denominata sui mercati americani come "Scorpion", causa la presenza di un omonimo modello Chevrolet.
Si tratta di una berlinetta con motore centrale, facilmente "preparabile" per le gare (ne venne derivata una versione da pista, la Beta Montecarlo Turbo, da cui poi fu ricavata per i rally la "Rally 037").
Con le altre Beta, la Montecarlo, disponibile sia con carrozzeria chiusa (chiamata "coupé") che con tetto in tela ripiegabile (definita "spider"), condivideva unicamente il motore: un 4 cilindri bialbero di 1995 cm³ da 120 CV DIN.
In effetti la Montecarlo derivava da una collaborazione tra Fiat e Pininfarina, volta alla realizzazione di una vettura sportiva da cui derivare facilmente, attraverso il reparto sportivo Abarth, vetture da gara.
I primi prototipi vennero presentati nel 1970 col nome di Fiat X1/8, mentre quello, praticamente definitivo, arrivò nel 1974 con la sigla X1/20.
Nel 1974 vennero iscritte al Giro Automobilistico d'Italia due Abarth SE030, ovvero due X1/20 con motore V6 da 285 CV d'origine Fiat 130 e alcune modifiche aerodinamiche.
L'intento era quello di mostrare la vocazione sportiva del modello, il cui debutto era previsto proprio al Salone dell'Automobile di Ginevra del 1974.
Una serie di ripensamenti, non ultimo quello di far gareggiare una futura versione preparata della nuova berlina 131 (soluzione che avrebbe garantito un ritorno d'immagine più diretto), portarono al congelamento del progetto, che venne ripreso l'anno successivo, quando, sempre al Salone di Ginevra, la X1/20 debuttò con marchio Lancia e denominazione Beta Montecarlo.
Le differenze col resto della gamma Beta erano notevoli: la trazione era posteriore, il motore centrale (montato davanti alle ruote posteriori), le sospensioni a ruote indipendenti (MacPherson davanti a bracci oscillanti triangolari dietro).
Data la crisi petrolifera in atto al momento del lancio, nonostante le potenzialità del telaio, venne montato lo stesso 4 cilindri 2 litri da 119 CV delle altre Beta.
Il 6 maggio 1979, alla 6 Ore di Silverstone la Montecarlo fece il suo debutto nel Campionato Internazionale Silhouette (Gruppo 5). Forte di un'aerodinamica esasperata, di un peso di soli 750 kg (300 in meno della versione di serie) e di un propulsore di 1425 cm³ turbo da 370 CV, sfidò le dominatrici Porsche 935 e Ford Capri Zakspeed, vincendo qualche gara. L'anno successivo, con motore potenziato a 400 CV e piloti del calibro di Eddie Cheever, Riccardo Patrese, Walter Röhrl e Michele Alboreto al volante, s'aggiudicò il Campionato Internazionale Marche Gruppo 5, titolo riconfermato anche nel 1981.
Nel 1979 comparve anche la seconda generazione del modello di serie. Le modifiche principali riguardavano le 2 pinne posteriori (sulle quali comparvero 2 vetri per migliorare la visibilità in manovra), la mascherina anteriore (ridisegnata secondo gli stilemi Lancia del momento), i cerchi maggiorati e alcuni dettagli degli interni (rivestimenti e dotazioni). Il motore guadagnò 1 CV (per un totale di 120 CV), mentre la denominazione divenne semplicemente Montecarlo (senza più Beta).
La Montecarlo uscì di listino nel 1982, lasciando uno splendido ricordo: generò la plurivittoriosa Lancia Rally 037 lanciata proprio quell'anno.

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FIAT 130

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Data l'ormai evidente obsolescenza di modelli quali la 2300 Lusso, i vertici della FIAT decisero di mettere in cantiere la progettazione di una berlina Gran Turismo, che nelle loro intenzioni avrebbe dovuto essere in grado di diventare una temibile concorrente delle autovetture di pari segmento prodotte da case automobilistiche come la BMW e la Mercedes Benz.
Nonostante i dubbi e le perplessità espresse all'epoca dai progettisti (Dante Giacosa in primis) sull'opportunità di produrre un'automobile non destinata al mercato di massa, da sempre prerogativa "storica" della FIAT, durante la gestazione del modello gli ingegneri studiarono una meccanica raffinata, caratterizzata da particolari soluzioni tecniche, abbinata ad una carrozzeria contraddistinta da una linea decisamente classica, equilibrata, e dall'ampia disponibilità di spazio interno sia anteriore che posteriore, tipica delle "tre volumi" prodotte all'epoca da molte case automobilistiche concorrenti.
Dante Giacosa realizzò un telaio contraddistinto dalla soluzione tecnica della sospensioni a 4 ruote indipendenti, mentre Aurelio Lampredi (ex Ferrari) mise a punto (derivandolo tecnicamente dal 2,4 litri che all'epoca equipaggiava la Dino Fiat) un motore a 6 cilindri a V di 2866cm³ erogante 140 HP.
Il quadro tecnico era poi completato dall'adozione della trazione posteriore, dall'adozione di 4 freni a disco, dall'utilizzo del servofreno, e infine dall'adozione del cambio manuale a 5 marce, che veniva fornito quale alternativa al cambio automatico (Borg-Warner) a 3 rapporti, che veniva invece fornito come primo equipaggiamento.
Degno di nota il fatto che la FIAT 130 fu in assoluto la prima automobile italiana a essere venduta con il cambio automatico come dotazione di serie, mentre il cambio manuale era disponibile solo su richiesta, come optional.
Dal un punto di vista stilistico la berlina non incontrò mai completamente il favore del pubblico, già a partire dalla sua prima presentazione, avvenuta al Salone di Ginevra nell'anno 1969.
L'autovettura era caratterizzata da una linea esteriore nel complesso equilibrata, ma piuttosto "carica", in quanto essa era appesantita da un notevole quantitativo di orpelli inutili, come ad esempio i grossi profili cromati che incorniciavano e attraversavano gli eccessivamente ampi gruppi ottici posteriori, o la monolitica e barocca calandra anteriore, caratterizzata da un disegno eccessivamente elaborato e complesso.
Sulla 130 prima serie venne adottato un cruscotto che stilisticamente ricordava quelli adottati sulle berline americane prodotte all'epoca. Sulla 130 seconda serie esso venne sostituito da una plancia caratterizzata da un disegno più classico e da finiture raffinate, in quanto veniva utilizzato legno laccato per guarnirla. Gli interni invece erano caratterizzati dall'utilizzo di velluto pregiato o pelle di ottima qualità per rivestire la selleria. Essi erano poi anche riccamente equipaggiati da accessori quali il servosterzo e dall'aria condizionata, quest'ultima fornita su richiesta. La versione coupé del modello fu poi equipaggiata da un esclusivo optional, in quanto i comandi dell'apertura e chiusura della porta del passeggero potevano essere controllati autonomamente dal conduttore dell'autovettura.
Dopo averla testata, gli operatori del settore giudicarono la vettura confortevole, sicura e affidabile su strada, ma nel contempo notarono che essa era notevolmente penalizzata dal peso eccessivo e dalla scarsa potenza erogata dal motore che la equipaggiava, circa 140 HP. La FIAT, nel corso dell'anno 1970, tentò di porre rimedio a tale carenza incrementando la cubatura del propulsore, ottenendo come risultato un aumento di potenza di circa una ventina di HP, ed il valore della stessa raggiunse i 160 HP circa. Tale valore era comunque ancora molto lontano da quelli raggiunti dai propulsori della stessa cubatura che equipaggiavano i modelli prodotti da marche concorrenti, che sfioravano i 200 HP, e che spesso erano caratterizzati dall'adozione di soluzioni tecniche più raffinate, come l'iniezione meccanica.
A causa di ciò l'autovettura rimase sempre penalizzata nel confronto con le sue dirette rivali (segnatamente la BMW 2800, la Mercedes 280 e Jaguar XJ 2.8).
Nel corso dell'anno 1971 la FIAT lanciò sul mercato anche la versione coupé del modello, disegnato dalla Pininfarina.
La scocca, assemblata presso lo stabilimento Fiat di Rivalta, veniva consegnata nuda allo stabilimento della Pininfarina che provvedeva sia alla finitura complessiva, sia al marchio. La successiva commercializzazione di tale versione fu sempre di competenza Fiat.
La FIAT 130 Coupé mutuo in massima parte la meccanica dalla berlina, ma il motore del modello in questione era caratterizzato dall'avere una cubatura leggermente superiore, precisamente del valore di 3235 cm³, e ciò più a beneficio della coppia massima e dell'elasticità di marcia che della potenza, cresciuta di poco, da 160 HP a 165 HP.
Tale motore nel corso dell'anno, venne successivamente utilizzato per equipaggiare anche la berlina, che della coupé adottò anche la rinnovata console centrale, caratterizzata da un disegno più razionale e moderno rispetto a quella che equipaggiava il modello precedente.
Una altra grave pecca che nonostante i vari tentativi posti in atto allo scopo di ridurre l'entità dell'inconveniente afflisse sempre tale propulsore, furono i consumi specifici, assolutamente proibitivi anche in relazione alla cilindrata, addirittura superiori a quelli di alcuni V8 americani prodotti all'epoca, poiché non era difficile scendere a valori dell'ordine dei 2Km/litro nel ciclo urbano.
Il problema principale che comunque afflisse il modello durante tutto il corso della sua gestazione e nel corso della sua successiva commercializzazione, fu rappresentato dalla vulgata universalmente accettata e diffusa all'epoca sia presso gli operatori del settore, sia presso i potenziali acquirenti dell'autovettura, poiché essi consideravano la FIAT una casa automobilistica specializzata esclusivamente nella produzione di auto utilitarie, e del tutto incapace o comunque inadatta a cimentarsi in un settore, quello delle berline di lusso, che storicamente non era mai stato di sua competenza. Sostanzialmente tale autovettura, oltre che dai suoi limiti, fu sempre eccessivamente penalizzata dalle sue origini "proletarie".
La grave crisi petrolifera che prese l'avvio nel corso dell'anno 1973 determinò di fatto la morte commerciale del modello, in quanto i consensi tributati alla coupé si limitarono ai soli apprezzamenti per sua linea esteriore, ma non si tradussero mai in consistenti numeri di vendita.
Inoltre era palese la circostanza che l'utilizzo di un'autovettura caratterizzata da consumi così elevati, complice il costo del carburante, di fatto quintuplicato nel giro di qualche mese, fosse diventato improvvisamente antieconomico.
La Casa madre inoltre non diede alcun seguito alla produzione di alcuni esemplari unici, sostanzialmente delle evoluzioni stilistiche della coupé disegnata dalla Pininfarina, come la Opera, studiata e prodotta come esemplare unico nel corso del (1974) e la Maremma, studiata e prodotta nel corso del (1975), rispettivamente il prototipo di una berlina a 4 porte e il prototipo di una particolare station wagon a 3 porte, caratterizzata dall'impostazione (Shooting Brake), e contraddistinta da alcune peculiari soluzioni funzionali e stilistiche.
La produzione della berlina cessò nel corso dell'anno 1976, con un saldo di 15.093 esemplari prodotti (di cui circa sei migliaia equipaggiati con il motore "2.8" e nove migliaia equipaggiate con il motore "3.2"), molti dei quali furono acquistati dallo Stato, fatti allestire come auto blindate, e utilizzate successivamente come "auto blu".
La coupé, invece, rimase in produzione fino all'autunno dell'anno 1977, totalizzando 4.491 unità prodotte.
Il fallimento commerciale della 130 ebbe come conseguenza primaria il totale abbandono da parte del marchio FIAT del segmento attinente alle auto di prestigio. Successivamente, la casa automobilistica, avendo di fatto acquistato il marchio la Ferrari, nel corso dell'anno 1969, concentrò l'utilizzo delle sue risorse e delle sue esperienze indirizzando le proprie attenzioni verso gli stabilimenti di Maranello, riprendendo in tale modo i contatti con il segmento attinente alle auto di nicchia. Si dovranno comunque attendere gli anni 80, per assistere all'immissione sul mercato automobilistico di un modello appartenente al segmento delle auto di prestigio prodotto da quello che nel frattempo era diventato il "gruppo FIAT".

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Marco - DS3 1.6 THP Sport Chic

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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
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ALPINE GTA

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La GTA, altrimenti chiamata Alpine V6, fu introdotta all'inizio del 1985 per sostituire la A310, rimasta in listino per 13 anni, dal 1971 al 1984. La presentazione avvenne in primavera al Salone di Ginevra. La carrozzeria, in plastica e poliestere, riprendeva grosso modo le forme della A310, ma ristilizzata in chiave più moderna, grazie alla matita di Heuliez, l'autore del restyling: nuovi erano per esempio i paraurti integrati nella scocca.
Il modello era proposto, nelle intenzioni della casa come concrrente della Porsche 944, rispetto alla quale offriva un'aerodinamica migliore, frutto di scelte tecnico-stilistiche molto accurate. Grazie al suo Cx molto ridotto, al peso contenuto ed ai suoi motori potenti, la GTA dotata di motore 6 cilindri prodotto dalla PRV, riusciva a spuntare prestazioni in grado di surclassare la concorrente, e ad un prezzo molto concorrenziale.
Presentava peraltro finiture interne inferiori, troppo economiche per poter rivaleggiare con quelle di una coupé tedesca, sia essa Porsche, BMW o altro. Insieme all'immagine ormai appanata dagli anni, questo fece sì che il successo fosse limitato: il periodo dei grandi successi della A110 sembrano enormemente lontani. Parve sostanzialmente che la vettura venisse percepita come una Renault che come il prodotto di una casa gloriosa.
La GTA fu proposta inizialmente in due versioni: la prima era la GTA V6, equipaggiata dal PRV V6 da 2849 cm³ di cilindrata, in grado di sviluppare 160 CV di potenza massima a 5750 giri/min. La velocità massima era di 235 Km/h. La seconda versione presente in listino fin dall'inizio era la GTA V6 Turbo, equipaggiata da un V6 da 2458 cm³, in grado di erogare 200 CV e di spngere la vettura a ben 252 Km/h di velocità massima.
Nel 1987 la GTA fu esportata anche negli Stati Uniti, dove però fu venduta in appena 21 esemplari. Quell'anno, in Europa, fu introdotta la GTA V6 Evolution Turbo, con meccanica rivista in maniera tale da arrivare a 260 CV e a spingere la vettura a 270 Km/h di velocità massima. Fu la massima evoluzione raggiunta dalla GTA.
Nel 1990, la versione aspirata ricevette altri 25 CV, raggiungendo quota 185, mentre l'anno seguente, la versione turbocompressa arrivò a 210 CV. Ma alla fine dell'anno, la GTA fu tolta di produzione per lasciare il posto alla A610.

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Marco - DS3 1.6 THP Sport Chic

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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
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 Oggetto del messaggio: Re: AUTO ED AUTO
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VOLVO P1800

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La Casa svedese decise, alla fine degli anni cinquanta di mettere in produzione una coupé, dato che nella propria gamma era assente una vettura sportiva. Dopo aver fatto esperimenti con prototipi dotati di carrozzeria in vetroresina, venne presa la decisione di utilizzare una convenzionale scocca in acciaio e di basare la nuova vettura sulla collaudata meccanica della berlina 120 Amazon. Il disegno della linea venne invece affidato alla Frua di Torino, che realizzò un'originale coupé a tre volumi dotata di ampie pinne posteriori.
Dal punto di vista tecnico, l'impiego del pianale (accorciato nel passo) e della meccanica della 120 Amazon, implicava soluzioni molto classiche: trazione posteriore, motore anteriore longitudinale e retrotreno ad assale rigido. I plus tecnici della nuova nata erano i quattro freni a disco ed il cambio manuale a quattro rapporti Borg-Warner con overdrive elettrico. Anche il motore, un classico 4 cilindri con albero a camme laterale di 1.778 cm³ era lo stesso della 120 Amazon, ma grazie all'alimentazione con due carburatori SU era in grado di erogare 96 CV.
Per la produzione la Casa svedese si rivolse inizialmente alla Karmann, la quale però, a causa del veto di Volkswagen (per conto della quale assemblava la Karmann Ghia), dovette rifiutare la commessa. La produzione venne allora affidata alla Jensen, che assemblava le scocche ed i pannelli della carrozzeria prodotti dalla Pressed Steel. Grossi problemi vennero dalla scadente qualità degli stampaggi delle lamiere della Pressed Steel rendendo lenti e difficoltosi gli assemblaggi alla Jensen. Così la Volvo decise di trasferire in Svezia l'assemblaggio della vettura ampliando un'ala del proprio stabilimento di Göteborg. Nel 1963 la produzione passò quindi dalla Jensen alla Volvo e cambiò anche il nome in 1800S (perdendo la "P" iniziale e guadagnando la "S" in fondo).
Nel 1966, grazie ad alcune modifiche ai condotti di scarico e di aspirazione la potenza crebbe a 103 CV. Contemporaneamente vennero migliorate anche la risposta delle sospensioni e le caratteristiche dello sterzo.
Nel 1969, contemporaneamente ad un leggero restyling (mascherina nera opaca anziché cromata, griglie laterali più ampie e verniciate di nero, ritocchi agli interni), il motore, la cui cilindrata crebbe da 1.778 a 1.986 cm³, beneficiò dell'adozione di un impianto di iniezione meccanica, che contribuì ad elevarne la potenza a 118 CV. La vettura si chiamava ora 1800 E.
Nel 1971, sempre con la collaborazione della Frua, venne trasformata da coupé tre volumi a hatchback con portellone posteriore (in vetro). Il frontale era invece identico a quello della 1800 E che rimaneva in produzione. Grazie all'adozione dell'iniezione elettronica al posto di quella meccanica, la nuova Sport Estate, denominata 1800 ES, disponeva di 126 CV.
La 1800 E uscì di listino nel 1972, mentre la 1800 ES rimase in produzione fino al giugno 1973.

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BMW Z3

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Presentata dapprima con carrozzeria aperta, la Z3 fu la prima roadster moderna del mercato di massa prodotta dalla Casa bavarese, come anche il primo modello della casa tedesca ad essere assemblato negli Stati Uniti: veniva infatti costruita e assemblata a Spartanburg, nella Carolina del Sud. Fu introdotta nel 1995, poco dopo essere stata utilizzata a scopo di lancio nel film di James Bond Agente 007 - GoldenEye. Furono prodotte alcune varianti dell'autovettura, inclusa la versione coupé nel 1999. Il suo ritiro dal mercato avvenne nel 2002, anno in cui fu sostituita dalla BMW Z4.

La sigla "Z"
"Zukunft" in tedesco vuol dire futuro: l'iniziale di questa parola viene utilizzata da BMW nei codici identificativi di alcuni modelli, e precisamente quelli con carrozzeria roadster o coupé a 2 posti secchi.
Il gruppo di ricerca 'BMW Technik GMBH' usa la ‘Z’ seguita da un numero come codice interno per i propri progetti, i prototipi sono normalmente mantenuti segreti.
I progetti 'BMW AG' invece utilizzano la lettera ‘È seguita da un numero (E46 per la serie 3, ecc.). Comunque anche 'BMW AG' usa dei codici ‘Z’, ma esclusivamente per le automobili roadster o coupé a due posti: Z1, Z3, Z4, Z8.

Modelli di BMW Z3 Prodotte: E36/7 & E36/8
Al momento del lancio, i propulsori che hanno equipaggiato la Z3 sono stati i 4 cilindri 1,8 L 8 valvole e i 1,9 L 16 valvole M43 - M44: successivamente, durante il periodo di produzione, arrivarono anche i 6 cilindri (DOHC 24V) M52 - M54 - M56 2,0 L - 2,2 L (2,3 L – 2,5 L solo nel mercato statunitense)- 2,8 L – 3,0 L – 3,2 L //MPower, 24 valvole.

>20 settembre 1995: la prima Z3 esce dalla linea di assemblaggio, in 7 anni tra la Z3 e la Z3 M ne verranno prodotte 297.087 distribuite in 130 paesi.

>28 ottobre 1997: Prodotte 100.000 Z3 Roadster.

Inizio 1998: lancio della Z3 Coupé, con carrozzeria chiusa di tipo "hatchback" a due porte, equipaggiata unicamente dal 6 cilindri da 2,8 litri e poco dopo dal 3,2 litri di origine BMW M3.

> maggio 1998: La M Roadster 3,2 è lanciata sul mercato con un motore derivato direttamente dal 3,2 litri della M3 E36. L'auto possiede una accelerazione notevole e poteva competere a livello commerciale con alcune versioni di Porsche 911. Esteticamente, il paraurti anteriore della versione M, si distingue da quello delle sorelle minori per il fatto di avere una presa d'aria maggiorata, la stessa che poi è stata ripresa nel successivo restyling.

>luglio 1999: Il modello subisce un restyling. La Z3 viene aggiornata con interventi di lifting nella parte posteriore. In particolare vengono ridisegnati i passaruota posteriori, che risultano più sinuosi e bombati, e il fascione paracolpi posteriore. I fanali di coda acquistano una forma ad "L" e vengono rivisti gli interni. Gli interventi si concentrano nella zona centrale dove viene ridisegnato il tunnel tra i sedili. Per quanto concerne la meccanica vengono ottimizzati i pesi con una migliore ripartizione tra i due assi. Tra i propulsori esce definitivamente di scena il 1,9 litri 16 valvole, che viene sostituito dal 6 cilindri 2,0 litri 24 valvole da 150 CV.

>settembre 2000: Il 6 cilindri 2.2 da 170 CV sostituisce il 2,0 litri da 150 CV, il 6 cilindri 3,0 litri da 231 CV sostituisce il 2,8 litri da 193 CV.

>marzo 2001: La Z3 M viene aggiornata con il propulsore della nuova M3 E46, sebbene depotenziato da 343 CV a 325 CV.

>28 giugno 2002: l'ultima Z3 E36/7 viene prodotta a Spartanburg: è una 6 cilindri Roadster color "Sepia Metallic" con gli interni in pelle "Arizona Sun" uscita dalla linea di produzione alle ore 12:34 p.m. Non vedrà mai la strada perché è destinata ad essere conservata e ammirata in un museo.

Dettagli
Il design della Z3 sposava sapientemente classico e moderno, proponendo così una vettura dalla linea bassa, scattante e che, nella versione aperta, incarna l'ideale concetto di roadster, grazie al cofano assai lungo, al posto guida arretrato, a ridosso del retrotreno e alla corta coda.
La versione coupé non è da meno e propone un padiglione dal design insolito, di tipo "hatchback", con portellone posteriore quasi verticale. Tale caratteristica si rivelerà non molto felice, poiché il pubblico non apprezzerà molto questa scelta controcorrente.
Gli elementi retrò sono molti, fra cui la coppia di sfoghi d'aria laterali dalla forma a "branchie di squalo", una per fiancata, che campeggiano sui parafanghi anteriori, dietro le ruote: essi richiamano in modo inequivocabile le BMW 507 di quarant'anni prima.
La Z3 aveva motore anteriore e trazione posteriore, passo relativamente lungo, carreggiata anteriore e posteriore larga, sbalzi corti data la lunghezza relativamente contenuta, distribuzione quasi paritetica delle masse, baricentro basso, assetto sportivo ma confortevole, servosterzo a cremagliera diretto e preciso nonché naturalmente un efficace impianto di freni a disco con ABS.
Le qualità stradali sono espresse dalla sterzatura precisa con un buon riallineamento, dalle accelerazioni trasversali elevate accompagnate da un coricamento limitato in curva, dall'assetto leggermente sottosterzante ai limiti e da un comportamento sereno nelle variazioni dell'assetto. Oltre ai modelli a quattro e sei cilindri, la Z3 è stata proposta anche in due varianti M: M roadster e M coupé, con il potente motore di 3,2 litri della M3 di 321 CV.
Arrivata sul mercato italiano nel 1996, la BMW Z3 roadster ha rapidamente conquistato il vertice del mercato nel suo segmento.
Nell'aprile del 1999 la Z3, con esclusione della variante M, ha subito un accurato lavoro di restyling; oltre ad aver aggiornato le motorizzazioni minori, vi sono state rivalutazioni estetiche negli interni e all'esterno, più in particolare gli interventi vedranno l'applicazione di vistosi passaruota posteriori allargati.
Il bordo porta, che ha il suo punto più basso a livello dei sedili, sale leggermente a forma di cuneo verso la coda. La parte posteriore ha un'estetica nuova influenzata dal bagagliaio ridisegnato, dai gruppi ottici posteriori, dai paraurti modificati e dalla carreggiata allargata, in precedenza riservata solo alle varianti 2,8 e M.
Lavori articolati di restyling anche all'interno dell'abitacolo con un nuovo volante sportivo di diametro minore (con airbag a due fase di accensione), la nuova copertura con isolamento, le superfici di materiale sintetico e la consolle centrale ridisegnata.
Novità anche dal profilo tecnologico. Tutte le varianti di cilindrata superiore ha ora l'asse del sei cilindri con braccio oscillante rinforzato, e sul fronte dei motori la propulsione è assicurata dai gruppi che sono stati introdotti al momento del lancio della nuova Serie 3.

La sicurezza
Motore anteriore a trazione posteriore, passo lungo e posizione di guida abbassata, sono elementi che, in abbinamento alla taratura rigida dell'assetto, garantiscono il piacere di guida tipico di BMW, innalzandone al contempo il livello di sicurezza.
La potenza e la coppia delle diverse motorizzazioni, permettono una velocità di crociera, secondo i limiti di velocità vigenti in Italia, esente da fastidi generati da rumorosità e scricchiolii vari.
La Z3 roadster offre protezione sistematica ai propri passeggeri grazie alla scocca assolutamente rigida, con zone di cedimento a deformazione programmata, protezione antiurto laterale incorporata ed airbag di serie per guidatore e passeggero (optional quelli laterali).
Le strutture tubolari multiple di particolare robustezza nei montanti anteriori ed i tubi di supporto verticali con fissaggio incorporato dietro i sedili per le cinture di sicurezza, contribuiscono a realizzare il massimo grado di sicurezza passiva.
Controllo elettronico della trazione, ABS ed altri sistemi di controllo elettronico, contribuiscono in modo preponderante alla sicurezza attiva. Come il controllo automatico di stabilità più trazione (ASC+T) il quale impedisce il pattinamento delle ruote su sfondo viscido, migliorando l'aderenza al terreno nella marcia in curva ed in partenza (questo dispositivo era volutamente assente nella prima versione M da 321 CV, perché questa era dotata di un differenziale posteriore autobloccante che rendeva l'auto e la guida "dura e pura": successivamente di serie sulla più rara Z3 M da 321 CV, con motore derivato dal propulsore Motorsport dell'E46, da 346 CV, depotenziato a 321 CV).
Importante è la gestione elettronica del propulsore, che calcola istantaneamente le migliori condizioni di funzionamento del motore a tutto vantaggio dei consumi.

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NISSAN 300ZX

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La Nissan 300ZX, conosciuta anche come la Nissan Fairlady Z, è una vettura sportiva che è stata prodotta da Nissan. Essa comprende la terza e la quarta generazione di Z-car line-up, rispettivamente, date le denominazioni dei telai Z31 (1983-1989) e Z32 (1990-2000). Denominazioni simili, quindi, ma che contraddiustingono due vetture totalmente differenti.
Il nome, 300ZX, segue la convenzione numerica avviata con la 240Z e presentata dal Yutaka Katayama, una volta presidente della Nissan Motors Stati Uniti d'America. La "X" è stata aggiunta al nome del modello del suo predecessore, che significa "di lusso". Il nome è stato utilizzato nella maggior parte dei mercati con poche eccezioni, compreso il mercato giapponese, dove è stata venduta come un "Fairlady Z".
La Z31 e Z32 utilizzano un 3.0 litri, V6 aspirato o single-turbo (z31) o twin turbo(Z32). Sebbene entrambi i motori sono dalla stessa serie VG e hanno la stessa cilindrata, la potenza della Z32's VG30DE e VG 30DETT è superiore al Z31. Il VG30DE ha anche un doppio asse a camme in testa e fasatura variabile sull'aspirazione, mentre la vecchia VG30 ha un unico asse a camme in testa. La Z32 aspirata ha 222 cv (166 kW) e 198 lb ft (268 N·m) di coppia rispetto alla Z31 con 160-165 cv e 174 lb ft (236 N·m) di coppia. Allo stesso modo, il Twin-Turbo Z32 ha 283 cv (220 kW) e 283 lb ft (384 N·m) di coppia rispetto al singolo turbo Z31, che ha 200-205 cv e 227 lb ft (308 N·m). La Z32 twin turbo ha anche un doppio intercooler a differenza della z31 turbo.
Z31: Il telaio è stato concepito dopo il precedente Z-car, la Nissan 280ZX, e ha avuto due edizioni speciali basati su di esso. Il 50 ° Anniversario Edizione incentrato sul lusso, per celebrare i 50 anni della società nel 1984, e la speciale Shiro, uscito 4 anni più tardi, che vantava aggiornamenti orientati alle prestrazioni. Lo styling sarebbe stato completamente riprogettato con il rilascio della Z32, vettura completamente nuova, che tende verso le curve sottili e con una più efficiente aerodinamica. Il nuovo telaio caratterizzato anche dalle ruote sterzanti posteriori a comando idraulico chiamato HICAS (modificata nel 1994 con attuatori elettrici chiamato SuperHICAS), è nella "top-of-the-line" modelli. Anche se non si tratta di una edizione speciale, fu designato nel 1996 il Nissan finale 300 unità americane con il Commemorative Edition. La produzione della Z32 è cessata al di fuori del mercato domestico nel 1997, e in Giappone ha continuato fino ad agosto 2000.
Fedele alla sua eredità, la 300ZX ha avuto notevoli vittorie, tra cui la serie 1986 Trans Am e la 1994 24 Ore di Daytona. Tuttavia, per politica e contestazioni di altre case di auto sportive, una controversa vittoria di classe GTS-1 alla 24 Ore di Le mans stesso anno ha indotto l'International Motor Sports Association a dichiarare il motore twin turbo illegale per la futura concorrenza. Il 300ZX anche il E / BMS terrà il record di velocità di 419,84 Km / h (260,87 mph) dal 1991 Bonneville Speed Trial.
Nel corso della sua vita, la 300ZX è stata lodata dalla critica. Auto e Driver l'ha messa tra le dieci migliori auto per 7 anni consecutivi e Motor Trend ha rilasciato il 1990 Import Car of the Year.

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ALFA ROMEO GIULIA SPIDER DUETTO

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Nel 1966 venne lanciata la "Alfa Romeo Giulia Spider Duetto", dotata del motore 1600 della Alfa Romeo Giulia Sprint GT nella più potente versione "Veloce".
La forma, come la casa si affrettò a precisare, richiama un osso di seppia, ovvero la conchiglia del mollusco cefalopode, in virtù del frontale e dalla coda arrotondati, raccordati dalle fiancate convesse, con linea di cintura piuttosto bassa. La coda, rastremata trasversalmente e longitudinalmente, segue i dettami della più classica tipologia boat-tail. Per la meccanica venne adottato il nuovo autotelaio della "Giulia", accorciandone il passo a 2.250 mm.
Nel maggio 1966 tre esemplari furono imbarcati sulla nave Raffaello per la presentazione negli Stati Uniti. La Spider diventa una "star" del cinema con il film Il laureato del 1967, con Anne Bancroft e Dustin Hoffman. Nella versione USA le calotte in plexiglas furono sostituite da un faro che aveva la bordatura cromata.
Tra il 1966 ed il 1968 l'unica versione, nata per essere una vettura di segmento medio-alto, era la Giulia Spider Duetto "Serie 105.03" e definito "Serie 105.05" nelle versioni con guida a destra. Dotata del motore sigla "AR 00536" il classico 4 cilindri bilabero da 1.570 cm³ in lega leggera da 109 CV dotato di due carburatori doppiocorpo Weber da 40, potente ed elastico già montato dal 1965 sulla "Giulia Sprint GT 1600 Veloce".
Nel gennaio del 1968 per seguire le tendenze di aumento prestazionale delle vetture di tutta la "gamma" Alfa Romeo, alla già brillante 1600 fu affiancata la versione definita " 1750 Spider Veloce" che montava il motore più potente ed elastico sigla "AR 00548" della serie 1750 (1.779 cm³) che sviluppava 114 CV ma il peso della carrozzeria fu portato da 990 kg a 1040 kg. Questa divenne la nuova versione di punta.
Nel giugno 1968 al fine di poter offrire una "Duetto" ad un prezzo più economico, si affianca nella produzione anche una versione più piccola definita "Giulia Spider 1300 Junior" che si distingueva esteticamente per l'assenza delle calotte ai fari anteriori, per i deflettori fissi e per una diversa posizione delle gemme laterali delle frecce. Il motore era lo stesso delle "Giulia Super 1300" e delle "1300 GT Junior" serie "AR 00530"" con cilindrata di 1290 cm³ che sviluppava 89 cv. Nel dicembre del 1968 la spider 1600 nata come modello di punta, ed ormai superato dalla nuova versione più potente dotata del motore 1750, venne messa fuori produzione. Rimasero in produzione la "1750 Spider Veloce" e la più piccola ed economica "Spider 1300 Junior". Come per le coetanee versioni coupé, l'Alfa Romeo definiva "Giulia" tutte le versioni con motore 1600 e 1300 sia coupé che spider. Quindi i nomi corretti sono "Giulia 1600 Spider Duetto", "Giulia Spider 1300 Junior" e "1750 Spider Veloce".

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VOLKSWAGEN GOLF COUNTRY

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Al salone di Ginevra fu presentata la Volkswagen Montana: una specie di Golf travestita da fuoristrada più alta dal suolo di ben 12cm.
Successivamente si resero però conto che FORSE dare il nome MONTANA (noto brand di carne in scatola) ad un’auto, non sarebbe stata una buona idea, così ripiegarono su "Golf COUNTRY". Questo precursore dei S.U.V. era dotato di una trasmissione Syncro studiata in collaborazione con la Steyr motorizzata con il 1800 benzina da 90/98 cavalli e solo per 50 dipendenti Volkswagen, con la versione GTI 1800 con 107 cavalli.
Il corpo macchina a 5 porte era proposto nei colori verde metallizzato Montana (aridaje), blu chiaro metallizzato, verde scuro, rosso Tornado e nero munita di bull-bar, slitte di protezione inferiori, ruota di scorta fissata sul portellone posteriore.
Il prezzo partiva da circa 30 milioni di Lire, ma dal giugno 1990 arrivò poi la versione semplificata Country "Allround" disponibile solo nel colore Forest-Green con interni in finta pelle nera e molti meno accessori; nel febbraio 1991 ci fu la presentazione della Country "Chrom" disponibile solo in nero con interni in vera pelle beigeolina, offriva lussuriosi orpelli cromati come: tubi in giro per la macchina, barre porta-tutto, profili e profilini, cerchi cromati, tetto apribile elettrico e, un copriruota di scorta in ferro cromato del peso di 45 chili. Ne vendettero 558 unità. Si racconta anche di modelli muniti del 1600 turbodiesel da 80 cavalli e di alcune esclusive versione cromate con motore 16 v 1800 da 129 hp.
Le prestazioni erano modeste (si parlava di 155 Km/h), i consumi piuttosto alti, la mancanza di un blocco del differenziale uniti ad un prezzo relativamente alto e ad una linea piuttosto discutibile ne decretarono l'insuccesso, entrata in produzione nel 1990 uscì immedietamente l'anno successivo con poco più di 7700 unità prodotte.
La carrozzeria italiana Biagini ne produsse anche una versione cabriolet denominata Biagini Passo la quale utilizzava la scocca della Golf MkI Cabriolet montata sulla base della Golf Country.

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MessaggioInviato: 7 settembre 2013, 15:32 
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ISO RIVOLTA FIDIA

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Partendo dal pianale allungato (da 270 a 285 cm) della IR300/340, la Iso Rivolta avviò, nella seconda metà degli anni sessanta, la progettazione di una berlina a 4 porte. La scelta, strategicamente, non era azzardata: l'unica 4 porte "gran lusso" ad alte prestazioni, la Maserati Quattroporte, stava per uscire di produzione e la Casa del tridente non aveva in cantiere, nonostante il successo del modello, un'erede (la Quattroporte II fece, infatti, la sua fugace apparizione solo nel 1976, 6 anni dopo l'uscita di listino della prima serie).
Mentre il disegno della carrozzeria venne affidato alla Ghia, la meccanica rimaneva quella della IR300/340. Il telaio era in acciaio (con la scocca portante), l'avantreno a ruote indipendenti con quadrilateri oscillanti, il retrotreno a ponte De Dion, i freni a disco su tutte le ruote (con quelli posteriori montati all'uscita dei semiassi dal differenziale), la trazione posteriore, lo sterzo a circolazione di sfere con servosterzo ed il cambio manuale a 4 rapporti (Borg Warner) o a 5 marce (ZF).
Anche il motore era il solito V8 Chevrolet di 5358cm³ a carburatore quadricorpo, offerto sia in configurazione da 300cv(abbinabile, a richiesta, anche ad un cambio automatico General Motors) che da 350cv (solo con trasmissione manuale). L'originale e dinamica (grazie alla linea della porta posteriore e alle prese d'aria di sfogo del calore dei freni) berlina a 3 volumi e 4 sportelli Fidia 4S, venne presentata al pubblico nel 1968.
Nel 1970 la cilindrata del motore venne incrementata a 5736 cm³. A parità di potenza massima (300 o 350cv), migliorava la distribuzione di coppia e quindi l'elasticità di marcia. Dalla gamma venne tolto il cambio manuale a 4 rapporti.
Nel 1972, a causa della richiesta della GM di avere pagati anticipatamente i motori, da acquistare oltretutto in blocco (che significava, per la Iso un pagamento anticipato di un anno), la Casa di Bresso abbandonò il propulsore Chevrolet per adottare il Ford Cleveland. Non fu un'operazione semplice perché il V8 Ford di 5762 cm³ da 325cv era più ingombrante e più "caldo" del precedente ed i tecnici Iso dovettero modificare il telaio per creare spazio al propulsore e ai radiatori maggiorati.
Il cambio automatico divenne anch'esso Ford, mentre quello manuale (a 5 marce) rimase invariato. Con l'occasione la Fidia venne ritoccata sia all'esterno (mascherina e altri particolari) che all'interno (sedili, consolle centrale).
La produzione della Fidia terminò nel dicembre del '74, con la chiusura della Iso. Ne sono state costruiti in tutto 192 esemplari. Narra la leggenda che uno di essi fu acquistato, nel 1968, da John Lennon.

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CHEVROLET CORVETTE ZR1 (C4)

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Il lavoro sulla ZR1 iniziò nel 1986 quando il team delle Corvette contattò la Lotus, allora parte del gruppo General Motors, con l'idea di sviluppare partendo dalla C4 un veicolo ad alte prestazioni. La Lotus progettò un nuovo motore con il quale sostituire il motore L98 utilizzato sulla Corvette standard. Ne risultò il motore LT5. Questo era sempre un propulsore V8 che manteneva l'alesaggio dell'L98 ma con il blocco cilindri in alluminio, doppio albero a camme in testa e quattro valvole per cilindro. Venne realizzato anche un sistema di aspirazione unico che permetteva, ai medi regimi, di chiudere la metà degli iniettori e dei collettori mentre garantiva 375 hp (280 kW) agli alti regimi. Sulla ZR1 fu anche inserito il sistema di sospensioni attive FX3, anch'esso sviluppato con la collaborazione della casa inglese.
Il motore per la sua realizzazione richiedeva molto lavoro manuale e, non avendo la General Motor nei suoi stabilimenti la possibilità di effettuare direttamente questo tipo di montaggio, si rivolse alla Mercury Marine per la costruzione di queste unità. Per cui i motori venivano realizzati negli stabilimenti della Mercury in Oklahoma e poi spediti a Bowling Green dove venivano montati sulle vetture.
Le vendite del veicolo cominciarono nel 1990 e la ZR1 si distingueva per la sezione posteriore più larga, gli pneumatici posteriori da 11 pollici, una fascia posteriore dotata di quattro luci dalla forma quadrata e infine per il CHMSL (Center High Mounted Stop Lamp) cioè per un luce posteriore montata nella parte alta e centrale del portellone.
La ZR1 dimostrò considerevoli capacità di accelerazione e maneggevolezza. Anche il prezzo era in linea con queste prestazioni ed era di 58.995 dollari, quasi il doppio di quello di una Corvette di base. Nel 1995 tale cifra raggiunse i 66.278 dollari ponendo così la Corvette nella stessa fascia di prezzo di vetture quali la Porsche 911 della serie 964.
Nel 1991 tutte le Corvette ricevettero degli aggiornamenti nella carrozzeria, negli interni e nuove ruote. La fascia posteriore della ZR1 venne inserita anche nelle altre versioni della vettura rendendo così difficile distinguere tra le versioni normali e la ZR1.
Nel 1992 furono inseriti altri miglioramenti quali degli stemmi con la scritta ZR1 sui parafanghi anteriori e divenne di serie il controllo della trazione.
L'anno successivo la Lotus riprogettò le testate e il sistema di distribuzione del motore LT5. La potenza arrivò a 405 hp (302 kW) e fu introdotto anche un sistema che permetteva il ricircolo dei gas di scarico migliorando in questo modo le emissioni.
La produzione della ZR1 si concluse nel 1995 dopo che ne erano stati realizzati 6.939 esemplari.

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